Sguardo alla storia italiana: la battaglia di Caporetto

Di Marco Cerniglia  Qualche giorno fa è stato ricordato il centenario della battaglia di Caporetto, avvenuta il 24 Ottobre 1917, e ancora oggi ricordata come la più grande disfatta dell’esercito italiano. Fu un momento cruciale della Prima Guerra Mondiale; lo stallo che si era venuto a creare sul fronte contro l’Austria-Ungheria fu spezzato dall’arrivo dei rinforzi tedeschi, i quali, trovatosi liberi dal fronte orientale contro la Russia per via della Rivoluzione d’Ottobre, riuscirono a dare manforte all’ormai stremato alleato, ormai prossimo a una sconfitta da più parti.

Nella cosiddetta “ora zero” di quella battaglia, all’alba di quel giorno, si iniziò un bombardamento di artiglieria, affiancato all’uso di gas tossici, sulla linea Plezzo-Tolmino. Il generale Cadorna, ricevuta questa notizia, in un primo momento non agì e non diede direttive, credendo che questa fosse una delle tante esercitazioni spesso eseguite dagli austriaci, nel tentativo di distrarre l’attenzione dal fronte carsico. Tuttavia, a quell’assedio seguì un assalto frontale delle truppe austrotedesche, e le truppe italiane, senza ordini per un giorno intero, si videro costrette a combattere. L’ordine di ritirata arrivò solo 24 ore dopo, quando Caporetto era già effettivamente caduta. Abbandonati anche dagli ufficiali, molti uomini preferirono arrendersi ai tedeschi durante il tentativo di indietreggiare, o vennero catturati attraverso varie azioni di aggiramento da parte di alcuni drappelli quasi indipendenti. Uno di questi aveva al comando l’allora tenente Erwin Rommel, che riuscì, con i suoi soldati, a catturare 150 ufficiali e circa 9000 soldati, perdendo appena 39 uomini.

La ritirata verso il Piave fu un disastro per i vertici politici e militari: tutti cercarono di scrollarsi di dosso le proprie colpe in questa regressione del comando, incluso lo stesso generale Cadorna, il quale, in un dispaccio che probabilmente causò la fine della sua carriera militare, accusò di viltà gli uomini della Seconda Armata, che cedettero all’assalto delle truppe nemiche, nonostante il cedimento fosse stato causato proprio dagli errori al comando.

Nel linguaggio corrente, non solo italiano, ad oggi il termine “Caporetto” indica una sconfitta totale e disastrosa. Ci sono tuttavia fonti secondo cui effettivamente questa battaglia non avrebbe avuto l’esito così catastrofico che le si attribuisce.

Successive analisi storiche avrebbero in effetti studiato meglio gli eventi successivi, rilevando che, al contrario di celebri disfatte militari come Waterloo, gli effetti non perdurarono anni dopo questa battaglia; anzi, la ritirata sulla linea del Piave portò a una nuova difesa, stavolta vittoriosa, ma al comando del generale Diaz, in quanto Cadorna venne rimpiazzato qualche giorno dopo la sconfitta di Caporetto, il 6 Novembre 1917. E, a proposito della suddetta ritirata, ci sarebbero fonti secondo cui effettivamente Cadorna avesse un piano anche per questa possibilità, oltre ad aver preparato la linea difensiva del Piave ben prima che ce ne fosse effettivamente bisogno; dunque, Diaz, che riuscì a correggere gli errori di comunicazione avvenuti a Caporetto e a portare avanti i piani di Cadorna, sarebbe così riuscito a condurre l’esercito italiano alla vittoria.

Indipendentemente da come siano andate le cose, è importante ricordare questi eventi, in quanto anch’essi contribuiscono allo sviluppo storico di un paese, nel bene e nel male.