Autoriforma dei sindacati o autoritarismo?

Di non poco conto sono state le affermazioni di Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle circa l’esigenza di un’autoriforma dei sindacati. Durante il festival del lavoro svoltosi a Torino lo scorso settembre, Di Maio non ha utilizzato mezzi termini nel far presente che le confederazioni sindacali debbano riformarsi, oppure che ciò sarà fatto, su induzione, dal Movimento una volta al governo. Il candidato M5s alla presidenza del Consiglio ha voluto fare riferimento ai presunti privilegi dei rappresentati dei lavoratori, consistenti in pensioni alte. Questo rende, secondo Di Maio, le confederazioni sindacali «poco credibili per poter rappresentare i giovani». Il vicepresidente della Camera dei deputati crede, inoltre, sia necessario che i giovani siano più attivi nei tavoli di contrattazione.

Poche affermazioni che hanno suscitato inevitabilmente delle reazioni da parte delle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Infatti, secondo la segretaria della Cgil Susanna Camusso il linguaggio adottato da Di Maio è stato non soltanto “insopportabile” ma anche “autoritario”. Maurizio Landini, membro della Cgil ha ritenuto che «chi intende cambiare il sindacato è autoritario», considerato il passato vissuto sotto un regime, quello fascista, in cui era lo stesso a decidere il funzionamento del sindacato.

Annamaria Furlan, segretaria generale Cisl ha invitato Di Maio a pensare ai problemi del Paese; mentre Carmelo Barbagallo, segretario confederale dell’Uil, con un semplice «avanti un altro» ha voluto alludere a Mattero Renzi, già protagonista di critiche contro i sindacati in passato.

Scegliere tra un’autoriforma o una riforma eseguita forzosamente è semplicistico. I sindacati si caratterizzano, sin da prima del loro riconoscimento esplicito in Costituzione all’articolo 39, per il loro libero associazionismo e in virtù di ciò essi sono in continua evoluzione per cercare di tutelare iscritti e non. I sindacati in quanto autonomi non possono accettare un intervento dall’alto, soprattutto perché il loro scopo è quello di rendere effettivi i diritti sanciti in Costituzione, dai contratti di lavoro, affinché non siano flessibili, alle retribuzioni al di sopra dei minimi salariali e così via.

È indubbio che i sindacati siano consapevoli che si registri un numero inferiori di iscritti tra i giovani. In particolare, tra gli iscritti vi sono pensionati che hanno vissuto periodi caldi del diritto sindacale sfociati in contratti di lavoro derogativi in meius.

È necessario un dialogo sociale tra le parti coinvolte, tra Stato e associazioni sindacali; una cooperazione per un interesse superiore cioè la tutela del lavoratore, quindi una tutela a 360 gradi. Non soltanto un dialogo ma anche partecipazione attiva dei lavoratori. Quest’ultimi hanno pagato negli anni un elevato costo del lavoro, che ha inciso negativamente sulla salute dei prestatori di lavoro e sulle loro famiglie.

La scelta tra le due opzioni, autoriforma o riforma dall’alto, può essere considerata come un mero consiglio. I sindacati sono ben consapevoli delle criticità presenti che vanno conciliate anche con i mutamenti del mondo del lavoro. Bisogna pensare non a un cambiamento radicale bensì a come far fronte a tali cambiamenti. Questo aspetto interessa tanto le organizzazioni sindacali quanto lo Stato che potrà intervenire legiferando, tenendo in considerazione l’apporto dei sindacati.

Giuseppa Granà