Rivoluzionari, è finita: la Catalogna contro Madrid e contro se stessa

Non si è ancora concluso lo scontro tra Madrid e la Catalogna. Pochi giorni fa la Corte costituzionale ha sospeso la sessione plenaria prevista per oggi dal parlamento con l’intenzione di dichiarare l’indipendenza.

Dopo il referendum dell’1 ottobre non c’è stata ancora una sicura proclamazione di secessione, ma piuttosto una ricerca di mediazione con il governo centrale e, soprattutto, un intervento dell’Unione europea in favore delle richieste catalane. Carles Puigdemont, il presidente della Generalitat catalana, ha lanciato la sfida al premier spagnolo Rajoy convocando una riunione parlamentare per martedì per dare forma a questa situazione. Ma Barcellona potrebbe dichiarare indipendenza? La decisione, del tutto unilaterale, sarebbe diretta conseguenza di un referendum privo di validità rispetto a quanto prescritto dalla Costituzione spagnola. Sarebbe un vicolo cieco.

La verità nuda e cruda: non è possibile che la regione spagnola della Catalogna si dichiari in totale autonomia indipendente. Non sono solo le leggi spagnole a impedirlo per ovvie ragioni di ordine nazionale e costituzionale ma anche le leggi europee: «uno Stato è tale solo quando viene riconosciuto dagli altri» è in generale il monito costante stabilito dall’Unione europea. Il caso più recente accostabile a quello catalano (neanche troppo, a dirla tutta) è quello della Scozia nel 2014: allora lo stato britannico promosse un referendum per l’indipendenza ma con il permesso di Londra, senza agire autonomamente per la conquista di un plebiscito popolare. Questo episodio si risolse con un sostanziale fallimento, ma fu un’azione concordata con il governo centrale che avrebbe potuto ottenere ogni legittimità e ogni riconoscimento nazionale e internazionale.

La Catalogna è andata contro tutti e persino contro le sue prescrizioni: contro la Costituzione spagnola, oltre le decisioni insindacabili della corte costituzionale, ignorando le modalità internazionali di riconoscimento degli stati, contro se stessa e i propri regolamenti interni. Il parlamento locale non ha raggiunto la maggioranza dei due terzi per l’approvazione della richiesta di svolgimento del referendum per l’indipendenza, ma ha ottenuto solo una maggioranza semplice, insufficiente per consentire una consultazione popolare così importante. Un elemento che fa riflettere sulla forzatura politica e mediatica che circonda l’evento del voto contro Madrid. Proprio la direzione anti-costituzionale della questione catalana legittima l’intervento della polizia e non le violenze chiaramente per ristabilire l’ordine nazionale minacciato da una secessione unilaterale.

L’intervento delle forze dell’ordine agli occhi del mondo è risultato fuori da ogni cornice democratica e non dignitosa per uno stato dellUe. Le scuse sono infatti arrivate a pochi giorni dagli scontri tra i manifestanti votanti e la guardia civil. In un intervento il prefetto spagnolo in Catalogna, Enric Millo ha fatto quello che potevano e dovevano fare il primo ministro e lo stesso re Filippo VI, dichiarando pubbliche scuse per gli eccessi. Il prefetto Millo ha dichiarato: «Ho visto le immagini e so che ci sono persone che hanno ricevuto percosse, spinte, e che c’è ancora una persona in ospedale. Posso solo chiedere scusa a nome degli agenti che sono intervenuti». La discolpa si ferma però a metà per «la responsabilità finale delle violenze che secondo Millo ricade sulla Generalitat, che si è rifiutata di rispettare l’ordinanza del tribunale di annullare il referendum» per quei motivi pronosticati di sicurezza e per il prevedibile intervento immediato della polizia sul territorio catalano.

L’azione di Barcellona è figlia di una doppia bocciatura, nazionale e locale. Puigdemont ha provato la strada per quanto paradossale più semplice per tirar su un polverone utilizzando gli strumenti a sua disposizione in maniera impropria e avventata, avendo alle spalle un popolo che si percepisce da molto tempo autonomo e per questo utile come ariete contro la fortezza rappresentata da Madrid. Ma non può essere ridotto tutto a una decisione istintiva e secca dei cittadini catalani, per di più in un referendum semplicistico e non autorizzato.

Adesso Spagna e Unione europea non possono riconoscere la Catalogna come un interlocutore di una trattativa, perché significherebbe costruire un castello di rilevanza giuridica, errore imperdonabile se si vuole mantenere l’unità spagnola. Ritrovare il dialogo sarebbe un ottimo punto di partenza per discutere di tutti quei temi lasciati fuori dal quesito referendario assolutamente ingiusto da proporre a una platea ignorante (nella forma più gentile del termine) su tutto il resto degli elementi da prendere in considerazione nella disputa spagnola, in primis i cavilli fiscali che hanno complicato i rapporti tra Barcellona e Madrid. La percezione di ogni singolo evento collegato alla “questione indipendenza” catalana, contrariamente a quanto davvero risulta utile per affrontare la diatriba, ha giocato un ruolo fondamentale. Nei fatti catalani è stato spesso confuso il piano ridico con quello politico e mediatico, ambiti che si basano su aspetti umani molto differenti: ragione e sentimento.

Daniele Monteleone


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