Il corpo delle donne indigene Peruviane come strumento di politica economica

In Perù, il presidente Fujimori, in carica dal 1990 al 2000, mise in atto un programma di sterilizzazioni forzate nei confronti d’indigeni, appartenenti alle etnie quechua e aymara, in nome di un «piano di salute pubblica».

Durante la Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, tenutasi al Cairo nel 1994, Fujimori giustificò il programma di sterilizzazione come un aiuto del governo cui le donne avrebbero fatto ricorso volontariamente, utile come metodo anticoncezionale per tutte quelle donne in difficoltà che non avrebbero potuto ricorrere ad altri metodi. Il messaggio lanciato alla conferenza, fu accolto da molti gruppi femministi e associazioni per i diritti umani positivamente, poiché sembrava essere un piano di controllo delle nascite regolare e rivolto alla tutela delle donne più bisognose.

Il programma di sterilizzazione si rivelò un vero e proprio caso di propaganda di false informazioni rispetto ai metodi di contraccezione, nella quale la sterilizzazione veniva presentata come l’unica ipotesi possibile. Tale campagna, non a caso, si rivolse alle donne di origine indigena quechua e aymara, spesso incapaci di leggere e scrivere o incapaci di comprendere lo spagnolo, oltre che spaventate e minacciate dal personale medico, che secondo varie testimonianze veniva incoraggiato economicamente.

Presentato il 28 luglio 1995, il piano fu principalmente finanziato da fondi dell’USAID, della Nippon Foundation, e, più tardi, del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione.

Il 9 settembre 1995, Fujimori presentò un disegno di legge che avrebbe dovuto rivedere la «Legge Generale della Popolazione», al fine di consentire la sterilizzazione. Diversi metodi contraccettivi sono stati legalizzati, nonostante la forte opposizione della Chiesa cattolica e dell’Opus Dei. Nel febbraio 1996, l’Organizzazione mondiale della sanità si congratulò con Fujimori per il suo piano. Secondo il Programma Nazionale di Salute Riproduttiva e Pianificazione Familiare messo in atto nel 1996, una riduzione della popolazione avrebbe incrementato il PIL pro capite del Paese, assicurando la crescita economica tanto auspicata dal governo e dagli organi internazionali. Esso portò alla sterilizzazione forzata di più di 350 mila donne e di 25 mila uomini. Secondo quanto riportato da un documento ufficiale del Ministero della Salute peruviano, l’indice di fertilità delle donne povere era del 6.9, il che implicava un’altissima probabilità di generazione incontrollata e scellerata di nuovi poveri.

Migliaia di persone, tratte in inganno dagli operatori sanitari incaricati dal governo che bussavano di porta in porta per convincere, persuadere o imporre con la forza alle donne di seguirli per ricevere delle cure mediche gratuite, furono caricate su camion o ambulanze per essere trasportate in centri inadeguati, dove venivano operate e dopo poche ore messe alla porta e costrette a percorrere chilometri a piedi per ritornare a casa. Alcune furono sterilizzate mentre erano in gravidanza, causando il decesso del feto, altre morirono. Ancora oggi migliaia di persone sterilizzate vivono le conseguenze di quella violenza: dolori fisici e traumi psicologici, in molti casi, gli impediscono di lavorare. Alcune donne sono state ripudiate dai loro mariti o, addirittura, espulse dalle comunità.

Già alla fine degli anni ‘90, numerosi attivisti denunciarono abusi sistematici, ma solo dalla caduta del governo Fujimori, i casi di sterilizzazione forzata furono scoperti.

Nel 2015 fu riaperta un’indagine penale per fare luce sulle sterilizzazioni forzate, ampliandola con nuove dichiarazioni rilasciate dalle vittime. Alle accuse di aver violato i diritti umani, l’ex presidente peruviano Fujimori in carcere dal 2007 per corruzione, ha sempre risposto che le sterilizzazioni effettuate in quel periodo erano state tutte volontarie. In realtà, le dichiarazioni rilasciate dalle vittime raccontano un’altra verità: tutte le donne coinvolte nel programma governativo venivano sottoposte alla procedura senza alcun consenso e senza essere informate sui rischi ai quali andavano incontro. Tutte coloro che avevano firmato dei moduli di consenso scritti in spagnolo dove acconsentivano in teoria a sottoporsi all’operazione chirurgica, in realtà non sapevano cosa stessero accettando perché erano analfabete.

Esperanza Huayama, è una vittima di questa pratica brutale e porta ancora addosso i segni della violenza subita. Nonostante il dolore e la sofferenza, ha fondato un gruppo di sostegno per tutte le vittime delle sterilizzazioni forzate in Perù. Attualmente è a capo del «Quipu Project», una linea telefonica che offre alle donne la possibilità di raccontare e condividere le loro drammatiche storie.

Oggi, quelle donne chiedono giustizia per loro e per tutte le vittime e attendono le scuse ufficiali del governo.

Francesca Rao


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