I limiti economici dell’Ue: la cooperazione che accresce la solidità

Di Ugo Lombardo Cosa serve per darle più solidità? Molte sono le criticità che nel corso del tempo, dalla sua nascita fino ad ora, hanno attraversato l’Unione Europea. Essa è stata vista come un’ancora di salvezza nel periodo delle forti crisi finanziarie che hanno attraversato i primi anni 90 del novecento, ma anche come causa di quelle crisi che recentemente hanno colpito proprio la zona euro.

La principale accusa che è stata rivolta al sistema Europa è stata quella di essere incapace di reagire agli shock economici che l’hanno caratterizzata in questi ultimi anni. Questo, per colpa di un sistema istituzionale e politico lento, macchinoso e privo degli strumenti per contrastare tali situazioni che negli anni hanno generato delle divergenze di sviluppo economico a carattere territoriale in seno al territorio europeo. In realtà, alcuni tentativi sono stati fatti nel corso del tempo per ridurre questa situazione. Infatti, si è ricordato come, superato l’approccio attendista a favore di quello costruttivista, la politica di coesione economica e sociale europea ha gettato le basi per una vera e propria politica regionale europea. Da qui sono nati programmi d’investimento al fine di eliminare, nel lungo periodo, le cause strutturali di arretratezza delle aree più povere della comunità attraverso lo strumento dei fondi strutturali. Si è visto però come questo richiede investimenti costanti e che, a causa dell’aggravarsi del deficit di capitale umano ed infrastrutturale nelle aree più in difficoltà dell’Europa, ha impedito l’erogazione di tali risorse.

Altra criticità che è stata analizzata è quella della politica fiscale, uno dei settori nel quale la “gelosia” della sovranità statale è maggiore. Abbiamo visto come purtroppo a causa del risicato bilancio dell’UE, circa l’1% del Pil europeo, è impossibile pensare ad un sistema fiscale europeo che trasferirebbe il gettito derivante dalle regioni europee più in crescita verso quelle che sono più in difficoltà. Si è anche detto che la risposta federale sarebbe più efficiente e meno gravosa per uno Stato già in crisi ma come la letteratura americana dimostra, lo Stato federale di solito assorbe, con risorse proprie, circa il 40% degli shock interni contro l’1% europeo e questo mette in evidenza come, al fine di fare una seria politica fiscale, servono delle risorse maggiormente adeguate.

Relativamente al settore finanziario, la parte più avanzata dell’integrazione europea, è nelle sue strutture che possono essere trovate le caratteristiche tipiche degli stati federali o addirittura degli stati nazionali stessi. Anche in questo caso però, nonostante la profonda integrazione, di solito sintomo di una maggiore armonizzazione fra gli stati membri, non mancano dei deficit strutturali.

Il primo e maggiore deficit che abbiamo analizzato è stato quello che riguarda proprio i compiti della Banca Centrale Europea la cui struttura è molto simile a quella della FED. La BCE, infatti, ha come prerogativa principale, il controllo dell’inflazione complessiva dell’area euro, inflazione che dovrebbe essere mantenuta prossima ma sotto il tetto del 2%. Quello che manca come compito, invece, è il controllo della disoccupazione dell’area.

Infine abbiamo affrontato il tema della libera circolazione, una delle valvole principali di sfogo da usare durante i cosiddetti shock asimmetrici che possono colpire un’area valutaria. La libera circolazione dei cittadini, come si è analizzato, permetterebbe ai disoccupati del paese in recessione di spostarsi per cercare lavoro in quello in espansione riequilibrando, attraverso lo spostamento di manodopera, lo shock asimmetrico. Naturalmente lo spostamento di manodopera da un paese all’altro non sarebbe molto semplice perché sarebbe ostacolato da una serie di barriere culturali e linguistiche ma l’importanza di Schengen in tale contesto è fondamentale perché, qualora non ci fosse, non ci sarebbe alcun modo di alleviare lo shock fra due paesi che compongono l’area euro.

In conclusione, quindi, vi sono molti elementi che necessitano un perfezionamento affinché l’Europa possa diventare più solida e più dinamica in certe situazioni. Sicuramente la consapevolezza di tali fragilità, nel tempo, potrà aiutare a migliorare in tal senso, ponendo in essere le necessarie misure. Tali misure, però, qualora si voglia andare verso un’istituzione sempre più federale, dovranno essere adottate su una base consensuale in cui gli Stati concordemente cedano un’ulteriore fetta della propria sovranità tenendo presente l’importanza della cooperazione in un sistema nel quale o si cresce insieme oppure è inutile pensare ad un’Europa sempre più a “due velocità”.