È morto un ragazzo, è morto Giulio Regeni

Il 3 febbraio veniva ritrovato il corpo di Giulio Regeni nella periferia della capitale egiziana, gettato al lato di un’autostrada nella zona occidentale della città. La scomparsa al Cairo risaliva al 25 gennaio, giorno dal quale non si avevano più sue notizie. Ufficializzata solo al giovedì mattina dai media egiziani, la notizia è stata successivamente confermata in Italia dal Ministero degli Esteri.

Quel che si sapeva circa gli spostamenti di Giulio era che, nel tardo pomeriggio del giorno della scomparsa, il ragazzo stava recandosi da alcuni amici per festeggiare un compleanno, come ha confermato un suo conoscente, Omar Assad. Salito in metropolitana intorno alle 20, era diretto verso la sponda destra del Nilo, dove poi avrebbe effettuato il percorso a piedi in direzione del centro della città.

Il procuratore egiziano che segue le indagini sul caso Regeni, Ahmed Nabil Sadeq, descrisse le sue prime impressioni sul ritrovamento del ragazzo parlando ad Associated Press di una morte avvenuta lentamente, a seguito di torture, ferite e lesioni di vario genere. Ma le prime ricostruzioni della polizia del Cairo chiudevano già il caso giudicandolo come un incidente stradale.

Il capo delle indagini e direttore generale della polizia investigativa di Giza, Khaled Shalaby, è un uomo come tanti dalla fedina penale sporca – come riporta Mada Masr, un sito egiziano indipendente. Shalaby è stato condannato nel 2003 a un anno di carcere con l’accusa di sequestro di persona, tortura e omicidio di un egiziano, oltre che di falsificazione di documenti.

Shalaby, oltre a non aver notato le ferite da arma da taglio sul corpo di Regeni, dichiarava: «Dobbiamo aspettare di avere il rapporto completo dagli esperti forensi. Ma quello che sappiamo è che si è trattato di un incidente». Sul ciglio di uno stradone di periferia coperto di ematomi e col volto reso irriconoscibile dalle tumefazioni, senza tracce di pneumatici e senza la presenza di frammenti di una vettura, doveva essere stato un incidente davvero particolare.

L’ipotesi della rapina sostenuta dalle autorità egiziane si era fatta audacemente strada dato il mancato ritrovamento del cellulare di Regeni sul luogo del ritrovamento. Una tesi affascinante quanto azzeccata. I tempi di reazione del governo egiziano – a dir poco biblici – restano un punto di forte polemica da parte del governo italiano.

Il fatto che negli ultimi anni sia difficile giostrarsi tra le centinaia di misteriose sparizioni in Egitto è comprensibile, meno chiare risultano le motivazioni di una collaborazione così stentata fin dagli inizi. Il governo egiziano ha affermato di aver ricevuto la notifica di scomparsa di Regeni solo il 28 Gennaio, mentre l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, già il 25 Gennaio era stato informato della situazione e aveva avvisato i responsabili dell’intelligence italiana, i quali si erano a loro volta mobilitati e messi in contatto con i servizi segreti egiziani, senza ottenere concreti risultati. È stato scoperchiato un clamoroso errore della polizia egiziana?

Amnesty International sul sito italiano «esprime profonda solidarietà ai familiari di Giulio Regeni. La Farnesina deve sollecitare il governo egiziano a chiarire al più presto le modalità di questo drammatico episodio. Ci aspettiamo da parte delle autorità egiziane un’inchiesta approfondita, rapida e indipendente. La tortura in Egitto è un fatto comune e ordinario», un argomento approfondito in un articolo dello stesso sito intitolato Dalla piazza al carcere: una generazione di attivisti schiacciata dalla repressione.

Di tortura, e in particolare di bruciature di sigarette, si era parlato – tra pareri discordanti tra procuratore e capo d’inchiesta circa le stesse – nel giorno del ritrovamento, ma l’autopsia, condotta in Italia appena qualche giorno dopo, ha escluso la presenza di ustioni di questo genere. Gli esami compiuti sul corpo di Regeni ne hanno rivelato la dinamica della morte: la rottura indotta della colonna cervicale, un colpo deciso al collo dopo ripetute percosse sul resto del corpo.

Chi era e cosa faceva Giulio Regeni? Ventottenne nato a Fiumicello, un piccolo comune di cinquemila anime in provincia di Udine, «un pragmatico idealista, un razionalista, un amabile pacifista rock» – come lo descrive un vecchio amico, Fabio Lungo. Ha conseguito la laurea a Oxford ed era dottorando all’Università di Cambridge nel corso Department of Politics and International Studies per cui stava elaborando una ricerca di studi economici attinenti le evoluzioni politiche e sindacali in Egitto. In particolare, Regeni si era trasferito al Cairo lo scorso settembre per lavorare alla sua tesi che collegava lo sviluppo dell’economia con la rivoluzione che cinque anni fa portò alla destituzione dell’allora presidente Hosni Mubarak.

Aveva scritto per Il Manifesto sotto pseudonimo, scelta che lo stesso Regeni motivava «a protezione della sua incolumità». Un collaboratore del Manifesto, Giuseppe Acconcia, ai microfoni di Radio Popolare ha spiegato che «Giulio si occupava soprattutto di movimenti operai e di sindacalismo indipendente, e perciò aveva contatti con l’opposizione egiziana» e che per questi legami aveva espresso i suoi timori via e-mail alla redazione del Manifesto, alla pubblicazione imminente dei suoi articoli.

Regeni, oltre ad aver frequentato alcune riunioni di un sindacato dissidente al regime incontrando di fatto diversi attivisti anti-governativi, era in contatto con Hoda Kamel e Fatma Ramadan, due donne egiziane del “Centro per i diritti economici e sociali” di Khaled Ali, un politico di sinistra che nel 2012 si era candidato alle presidenziali, poi vinte dalla Fratellanza Musulmana di Mohamed Morsi, governo rovesciato l’anno successivo proprio dall’attuale regime militare di Abd al-Fattah al-Sisi.

Un amico di Giulio – che in questo caso ha preferito rimanere anonimo – ha dichiarato a un quotidiano egiziano che le ricerche in fase di raccolta da parte dello studente comprendevano anche interviste ad attivisti per i diritti dei lavoratori, per cui erano stati chiesti i numeri di telefono di questi esponenti dissidenti.

L’amico aveva avvisato Regeni dei pericoli annessi a queste attività e si era fatto promettere che non si sarebbero corsi rischi fino al 25 gennaio, giorno dell’anniversario della Rivoluzione Egiziana del 2011, giorno di possibili tensioni e manifestazioni, giorno in cui la repressione di episodi di protesta era il principale obiettivo della polizia egiziana.

I teorici del complotto si accalcano per urlare la tesi più accattivante, tra le quali spicca l’omicidio dimostrativo contro l’Italia e contro lo sfruttamento del giacimento di Zohr, scoperta fatta da Eni l’estate scorsa, e visto passare sotto il naso dagli “invidiosi concorrenti”, alla quale sarebbe collegato anche l’attentato al consolato italiano al Cairo dell’11 luglio scorso, attentato anche fin troppo “facile” rispetto a tutte le altre strutture consolari, fortini isolati nel deserto più difficili da attaccare. Una miniera d’oro – e di gas – che in realtà risulta un affare per tutti, soprattutto per le compagnie di mezzo mondo che si stabiliranno sul delta del Nilo. Ma sappiamo bene come sia impossibile che la verità esca fuori, la verità che meritano i genitori di Giulio.

genitori di Giulio Regeni a Propaganda Live

Dopo appelli rassicuranti sul lavoro dei servizi segreti, dopo due mesi di ipotesi e indagini condotte con gli evidenti limiti del caso, dopo l’interessamento di Mattarella e la richiesta delle opposizioni italiane a interrompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto, dopo le numerose versioni accavallatesi disperatamente in tutto questo tempo per incolpare qualcuno a tutti i costi – l’incidente, i Fratelli Musulmani, la rapina per mano di comuni criminali, il complotto internazionale – dopo il bluff del super dossier sul caso Regeni preceduto solo dalle parole del Ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shourky, che ha definito l’accaduto come “un incidente isolato”, dopo la mail anonima mandata a Repubblica, mail che vale come carta straccia, e dopo l’arresto del legale egiziano che seguiva il caso per la famiglia Regeni, siamo davanti all’ennesima questione insabbiata di cui appena i contorni affiorano alla luce del cocente sole egiziano: la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano di professionisti assassini. A gran voce il Presidente del Consiglio Renzi si dichiarava fiero del governo di al-Sisi. A voce troppo moderata, l’Italia, chiede spiegazioni di questa tragedia.


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