Docenza universitaria in sciopero: i professori dicono basta alle discriminazioni

Recentemente si è sentito parlare di sciopero dei docenti universitari, argomento che ha molto allarmato gli studenti in prossimità degli appelli della sessione autunnale relativa all’anno accademico 2016-2017. Se da un lato vi è il diritto allo sciopero dei lavoratori nel pubblico impiego, dall’altro lato vi è quello degli studenti ovvero il diritto allo studio.

Per contemperare entrambi i diritti, quello allo sciopero di cui all’articolo 40 Cost. e quello allo studio ex articolo 34 Cost., è stato sacrificato soltanto il primo degli appelli che vanno dal 28 agosto al 31 ottobre. Ciò, dopo essere stato considerato legittimo dalla Commissione di Garanzia, la quale valuta l’idoneità delle prestazioni indispensabili ai sensi della Legge 146/1990, modificata dalla Legge 83/2000, in merito alla regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. A quest’ultimi corrispondono diritti della persona costituzionalmente tutelati. Più precisamente secondo la Commissione, risultano rispettati gli obblighi relativi al preavviso minimo, alle procedure di raffreddamento e di conciliazione, alle motivazioni, alle modalità di attuazione e alla durata massima dell’astensione.

Alla base della protesta, vi è il “Movimento per la dignità della docenza universitaria” capitanato da Carlo Vincenzo Ferraro, docente al Politecnico di Torino, e nato per denunciare la grave discriminazione in cui versano gli atenei italiani. Allo sciopero hanno aderito 5.444 professori e ricercatori di 79 università ed enti di ricerca italiani, considerati dalla Commissione di garanzia “soggetto collettivo”, su 49.000 professori e ricercatori in servizio. Lo sciopero è stato indetto contro il blocco degli scatti stipendiali, deciso dal governo Berlusconi dal 2011 al 2014, e anche perché i settori che si occupano di istruzione non hanno ricevuto finanziamenti idonei. L’azione di protesta vuole ridare dignità al lavoro di chi si occupa di formazione; proprio perché nel momento in cui la persona non è più protagonista, il lavoro viene privato del suo significato.

Non conta soltanto cercare di colmare il gap con gli altri paesi europei in materia di istruzione, ma bisogna anche stanziare risorse adeguate per chi opera in questo campo, soprattutto in seguito ai tagli che gli investimenti in ricerca hanno subito. Affrontare il tema della contrattualizzazione del personale docente del mondo universitario non può essere più rimandato. È necessario, pertanto, che si instauri un dialogo con lo Stato.

Giuseppe Di Chiara, docente di Diritto processuale penale presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo, afferma che «è purtroppo un dato di fatto – conosce la mia sensibilità e sa quanto io sono accanto agli studenti, sa che per me la tutela dei loro diritti è sempre prioritaria – che l’attenzione istituzionale, ma anche dei media, nei confronti di questa problematica si è registrata solo dopo la proclamazione dello sciopero. Quanto ai profili della tutela degli studenti, che vanno secondo me considerati come aspetto centrale, sa che a Palermo il calendario didattico prevede un solo appello per la sessione autunnale: in questo caso la specifica disciplina di questo sciopero stabilisce che, ove il singolo docente vi aderisca, a fronte dell’appello non svolto, debba essere fissato, 14 giorni dopo, in termini di recupero a tutela del diritto allo studio, un appello straordinario; lo slittamento cronologico non potrà in sé pregiudicare l’accesso dello studente laureando alla sessione di laurea di ottobre».

Continua il professore, «lo studente patisce certamente un disagio, dovuto all’incertezza, fino a qualche giorno prima della data di calendario fissata per l’appello, circa la data effettiva della sua celebrazione, ma nessun suo diritto viene leso, nel senso che lo studente non perde l’appello e non subisce alcun tipo di pregiudizio circa l’accesso alla sessione di laurea». Pertanto, conclude il Professore, «il diritto allo studio è adeguatamente tutelato; i margini per ritenere, dunque, congrua questa forma di agitazione, a fronte della solidità delle motivazioni che vi si pongono a base, appaiono, dunque, rassicuranti».

Nonostante gli studenti capiscano le difficoltà di realtà lavorative caratterizzate da precarietà e cerchino di essere solidali, ritengono che non sia giusto penalizzarli. L’eliminazione di un appello può comportare un ritardo nell’ingresso del mondo del lavoro, e quanto di cui godono i docenti universitari, sebbene risulti non sufficiente, appare come un miraggio agli studenti e ai laureandi della prossima sessione di laurea.

Giuseppa Granà