Inchiostro Virtuale | Demoni sotto la pelle: D’Agata, Petersen e la natura dello scorpione

Il tempo è qualcosa che scivola fra le dita come acqua. Il più delle volte lo spendiamo male, restando con espressione ebete a guardarci dietro, a valutare la portata delle cose fatte, per darci eventualmente, compiaciute pacche sulle spalle. Ma quel ri-considerare è solo tempo buttato via, mentre altro in questo preciso momento ci sta scorrendo sotto i piedi e fra i capelli.

Certe vite sembrano dirci qualcosa, certe storie quasi ci fanno rabbia, vorremmo condannarle o rifiutarci di prenderle in considerazione, voltando gli occhi altrove, perché sanno abbattere le recinzioni che inconsciamente abbiamo tirato su attorno al nostro bel giardino, curato con attenzione maniacale. Ma ogni volta torniamo sui nostri passi, tirati per la manica da qualcosa di molto simile a un desiderio, all’attrazione cieca e morbosa per un altro corpo. Fino a dover ammettere che non possiamo evitare di farci i conti.

La prima volta che sono entrato in collisione con le fotografie di Antoine D’Agata è stato a Reggio Emilia, durante l’edizione 2008 del Festival della Fotografia Europea, precisamente all’interno dell’Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario. La sensazione palpabile, passando lungo quei corridoi monocromatici, scanditi da robuste porte spalancate su sedimentazioni di drammi passati, era che quelle fotografie, nel vuoto del tempo, avessero una voce, tutt’altro che remota. Trovo che fosse una scelta seducente, accostare l’inutile compito di contenere il furore di vivere deputato a quel luogo, con l’incontenibile, spasmodica ricerca di limiti da valicare, del controverso fotografo francese. Continua a leggere su Inchiostro Virtuale…

Alessandro Pagni