I limiti economici dell’Ue: la politica monetaria e i deficit strutturali

Di Francesco Paolo Marco Leti – Quella del settore finanziario è, senza ombra di dubbio, la parte più avanzata dell’integrazione europea. Nelle sue strutture possono essere trovate le caratteristiche tipiche degli stati federali o addirittura degli stati nazionali stessi. Nonostante la profonda integrazione, di solito sintomo di una maggiore armonizzazione fra gli stati membri, non mancano dei deficit strutturali.

Il primo e maggiore deficit riguarda i compiti della Banca Centrale Europea: essa ha come prerogativa principale il controllo dell’inflazione complessiva dell’area euro, inflazione che dovrebbe essere mantenuta prossima ma sotto il tetto del 2%. Quello che manca come compito è il controllo della disoccupazione dell’area. La banca centrale più vicina come struttura a quella della BCE, la FED, ha nel suo statuto un duplice controllo, quello inflazionistico e quello della disoccupazione da mantenere al più basso livello possibile.

Quelli che sembrano due target separati sono in realtà complementari. Nella letteratura economica è assodato il legame fra inflazione e disoccupazione e la loro è sostanzialmente una relazione inversa. A maggiore inflazione dovrebbero corrispondere livelli di disoccupazione contenuti, al contrario a minore inflazione dovrebbe essere presente una maggiore disoccupazione. Questo chiarisce il motivo per il quale la gran parte delle banche centrali al mondo ha un duplice obiettivo nel suo statuto, dovendo contemperare due parametri fra loro conciliabili con difficoltà. L’assenza di questo parametro è stata una precisa volontà di politica economica abbastanza condivisa alla creazione della BCE.

Negli anni della nascita della BCE il problema dal quale con difficoltà ci si stava liberando era l’iperinflazione degli anni ottanta e novanta e l’obiettivo dichiarato della moneta unica era evitare una nuova esplosione inflattiva nell’area. Al contrario, la scelta di strutturare la BCE come una sorta di copia della Bundesbank (al riguardo ricca di una lunga tradizione anti-inflattiva), assegnandole come compito principale il controllo dell’inflazione, era un’indicazione della volontà di risolvere il problema alla radice.

L’assenza di un target sulla disoccupazione si è fatto particolarmente sentire durante gli anni della crisi, quando addirittura nel 2008 (in piena crisi) l’allora presidente Trichet decise di attaccare l’inflazione dell’area alzando i tassi di interesse generando nel continente una recessione più profonda.

La situazione si è parzialmente modificata con l’avvento di Mario Draghi alla presidenza della BCE che ha sfruttato ogni singolo spiraglio a livello inflattivo per sostenere l’economia e l’occupazione europea. Naturalmente lo statuto della BCE non è stato modificato quindi molte delle politiche messe in campo sono state possibili grazie alla forte deflazione presente in questi anni. La controprova verso un cambiamento di questa prassi potrà aversi quando l’inflazione ripartirà. In questo caso si potrà osservare se verranno contemperate le due esigenze (occupazione ed inflazione) o si controllerà la sola inflazione a scapito dell’occupazione.


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