Dal calcio giocato al calcio speculato

Di Giuseppe Sollami – C’era una volta il calcio. Quello giocato, quello di “Tutto il calcio minuto per minuto” seguito alla radio, dove le squadre si duellavano per contendersi i tre punti; era il calcio del Grande Torino, che trovò la sua fine a Superga; era il calcio di bandiere come Pelè, Maradona, Facchetti, e più recentemente, di Maldini, Del Piero e Totti.

Dov’è finito questo calcio, che ha appassionato milioni e milioni di persone in tutto il mondo, portando a silenziare intere città durante le partite della nazionale ed a scendere in piazza dopo la vittoria? Oggi, soprattutto, cosa è il calcio? Semplice: è un insieme di società quotate in borsa che si contendono i migliori talenti del mondo a suon di diritti televisivi, sponsor e procuratori. Una vera è propria associazione di club che muovono miliardi di Euro, a scapito del tifoso che ormai è disaffezionato e segue poco, eccetto nei campionati minori e dilettantistici, dove ancora rimane, per ovvie ragioni, un attaccamento alla maglia e ai valori della squadra. Oggi il vero punto focale della stagione di un club è il mercato, invernale (o di riparazione) ed estivo (o ufficiale), dove le squadre gestite da cordate milionarie, spesso cinesi o arabe, immettono nel circuito milioni di euro per ogni singolo calciatore, duellandosi in aste al rilancio che arrivano anche a superare la terza cifra prima dei sei zeri.

Il calcio si è trasformato, con l’avvento dei petrodollari arabi e cinesi, che hanno innalzato l’asticella del cartellino medio, innescando un circolo virtuoso (o vizioso) di aste pluri-milionarie per contendersi i migliori giocatori in circolazione: l’iniziatore di tale circolo fu il magnate russo Abramovic, patron del Chelsea, che iniziò ad offrire contratti mozzafiato ai giocatori e agli allenatori per accasarli ai Blues. Successivamente, si inserirono gli arabi con il Paris Saint Germain e cosi via fino ad arrivare alle dirigenze cinesi in Italia con Milan ed Inter. Il calcio ha quindi trasformato i club, dividendoli in club di prestigio economico, come il Real Madrid, Barcelona, Juventus, Manchester United, PSG e Monaco, che riescono a sopportare enormi sacrifici in termini di cartellino e a seguire troviamo i club storici che non hanno avuto il risvolto richiesto, poiché le dirigenze sono rimaste ancorate ai vecchi sistemi di acquisto (parametro zero, prestiti con obbligo di riscatto ed aste di basso profilo), innescando un oligopolio calcistico dove solo le grandi signore del calcio economico riescono a competere per i grandi trofei, mentre le altre rimangono alla finestra a guardare.

Certo, una dirigenza con milioni e milioni da spendere per il mercato è un emozione per il tifoso, che può assicurarsi il divertimento di vedere giocare il campione affermato nella propria squadra, ma il livello qualitativo del calcio si è abbassato notevolmente per via di questa disparità tra club. Il calcio degli anni sessanta, del 4-3 dell’Italia ai danni della Germania ormai è acqua passata, abituiamoci a vedere sempre più aste milionarie e meno spettacolo nei campi da gioco. Insomma, iniziamo a tifare più per i procuratori che per i giocatori, oppure ciò che ci resta sarà sempre la partitella tra amici organizzata settimanalmente, lontanissima (per fortuna) da interessi economici o da cartellini stellari.