Lo sciopero della fame dei detenuti

Lo sciopero della fame dei detenuti è la forma di protesta a disposizione dei reclusi più diffusa. Esso è inteso come mezzo di lotta alle condizioni disumane in cui questi sono costretti a vivere, soprattutto per la questione centrale del sovraffollamento carcerario. Prendendo come esempio il caso italiano, i detenuti condividono uno spazio così ristretto, meno di 4 metri quadri, da non rispettare gli standard minimi previsti dal Consiglio d’Europa. Nelle carceri italiane vi sono più di 54.000 detenuti, mentre i posti disponibili ammontano a circa 49.600.

Durante il governo Berlusconi è stato adottato il cosiddetto “Piano carceri”, per ristrutturare le vecchie strutture e ricostruirne di nuove ma questo è fallito. Al Piano carceri è seguito il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, e poi il D.L. 26 giugno 2014, n. 92 noto come decreto carceri convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117.

La Corte europea dei diritti umani si è espressa a riguardo con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013, con la quale l’Italia è stata condannata per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani e pertanto tenuta a far fronte al problema del disfunzionamento del sistema penitenziario.

È per tal motivo, per far valere i diritti spettanti ai condannati, che il partito dei Radicali con la figura di Marco Pannella si è a lungo battuto per queste lotte senza fine. A sostegno dei detenuti, Marco Pannella ha infatti portato avanti per anni il suo sciopero della fame, in modo tale da porre la questione all’attenzione dei media nonché sensibilizzare i decisori politici affinché vengano novellate le leggi in materia.

Una riforma del sistema carcerario volta a fronteggiare il sovraffollamento e la carenza igienico-sanitaria sarebbe necessaria. Tuttavia si incontrano dei limiti dati dai vincoli di spesa del Ministero della Giustizia.

Ci si chiede, come possono i detenuti ribellarsi all’interno delle strutture carcerarie? Come possono scontare la loro pena, più o meno afflittiva che sia, in modo da non ricorrere a gesti estremi come il suicidio o l’autolesionismo? Secondo fonti Istat sono stati 42 i casi di suicidio solo nel 2013 e 6.902 gli atti di autolesionismo. Strumento a loro disposizione è lo sciopero.

Quest’ultimo è sempre stato visto per la sua natura rivendicativa come un mezzo per dar vita a dei negoziati e accordi tra le parti, in questo caso tra Stato e detenuto non in quanto cittadino bensì persona umana.

Uno degli scioperi della fame più noti è quello avvenuto dal mese di marzo al mese di ottobre 1981 in Irlanda. Questo fu iniziato dal detenuto Bobby Sands, il quale organizzò lo sciopero a intervalli così da alternare il periodo di digiuno con altri detenuti e mantenere aperto il dibattito sul tema. Le richieste avanzate andavano dal diritto a indossare i propri abiti, al diritto di libera associazione con gli altri detenuti durante le ore d’aria, a poter ricevere la propria corrispondenza così come quello di aver a disposizione delle attività ricreative. Bobby Sands e gli altri scioperanti inevitabilmente morirono di stenti.

Il bisogno di condizioni di vita dignitose è stato manifestato anche dai detenuti palestinesi- circa 1.800-, i quali hanno fatto ricorso allo sciopero della fame ad Aprile di quest’anno. Il digiuno è iniziato nella prigione di Hadarim, dove è detenuto Marwan Barghouti leader della protesta. Lo sciopero ha trovato riscontro positivo tra le forze politiche, dall’altro lato l’opposizione del governo israeliano con la figura del ministro della pubblica sicurezza Gilad Erdan, il quale ha espresso il suo disinteresse a intraprendere una negoziazione con i detenuti. Tra le richieste si individuano un migliore accesso al telefono, l’abolizione dell’isolamento e delle regole che semplifichino le visite dei familiari, i quali necessitano di un permesso speciale per entrare in Israele.

In passato si erano già verificati scioperi portati avanti a sostegno delle medesime argomentazioni, ma la loro portata era stata meno incisiva. In alcuni casi si è intervenuto con l’alimentazione forzata, in seguito al peggioramento delle condizioni di salute degli scioperanti. Quest’ultimi stremati e senza forze restano a letto per tutto l’arco della giornata o necessitano di un aiuto per stare semplicemente in piedi.

Quando si decide di intraprendere un’azione di protesta è inevitabile non subire ripercussioni. Infatti ai detenuti sono stati sottratti oggetti personali, è stata anche vietata l’igiene necessaria e anche cure mediche in caso di infortuni, a condizione di porre fine all’azione intrapresa. Ciò si evince da quanto dichiarato dall’avvocato della Società di Prigionieri Palestinesi Khaled Mahajna.

Quanto scritto si può ricondurre a una semplice ma chiara frase, espressione dei bisogni dei detenuti: migliorare la vita in carcere.

Giusy Granà


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