Un’ipotesi di uscita non volontaria dalla zona euro

Nelle opinioni pubbliche europee l’argomento dominante al momento, a causa delle ravvicinate elezioni in molti paesi, è legato alla vittoria di forze “populiste” che spesso propugnano, nei propri programmi, il referendum sulla permanenza nell’eurozona o nell’Unione Europea tout court. Al riguardo, è fiorita una “letteratura” sui vantaggi e gli svantaggi della permanenza o dell’abbandono dell’eurozona.

Essa si è diffusa nei giornali di opinione creando fazioni di pseudo/para-economisti (come se non bastassero gli allenatori di calcio in questo paese) pronti ad azzannarsi reciprocamente su opinioni poco corroborate a livello teorico e storico. In queste diatribe a volte può succedere di trovare delle autentiche “rose nel deserto” scritte da autorevoli economisti che cercano di spiegare in modo lucido la situazione, prima di essere nuovamente travolti dalle maree dei fanta-economisti. Uno di questi articoli è quello scritto Emiliano Brancaccio, docente di economia politica presso l’Università del Sannio di Benevento, pubblicato nell’edizione cartacea del Sole 24 Ore il 3 maggio. L’articolo appartiene ad un’iniziativa del giornale di Confindustria nella quale è stato scatenato un dibattito-confronto, iniziato con un articolo di Luigi Zingales, fra opposte visioni e portato avanti da autorevoli economisti.

L’argomento sviluppato da Brancaccio si focalizza non tanto sull’abbandono volontario dell’eurozona da parte di un paese, ma sulla pressione dei mercati affinché un paese abbandoni la moneta unica. Il modo nel quale questa possibilità potrebbe presentarsi, si basa su una massiccia fuga di capitali dal paese in questione le cui ragioni possono essere più o meno fondate stante la cosiddetta razionalità dei mercati su cui sono state scritte molte cose senza giungere a una idea definitiva. Quello da temere sono gli effetti sull’economia del paese in questione, infatti, l’eventualità di una massiccia fuga di capitali non è un’ipotesi improbabile: le regole internazionali sulla totale libertà di circolazione dei capitali all’interno delle quali ci muoviamo, possono permettere questa precipitosa fuoriuscita considerando come la maggior parte dei capitali in ingresso è rappresentato da investimenti a breve termine e quindi facilmente dismissibili.

La presenza della moneta unica sembrerebbe aggravare la situazione invece che migliorarla a causa del fatto che le competenze in materia finanziaria sono adesso concentrate a livello europeo. Infatti, da un lato, in ambito europeo, se si verificasse un caso di fuga di capitali da un paese verso un altro, gli investitori non dovrebbero fare i conti con un importante rischio di cambio (cioè un crollo del valore della moneta del paese in questione), perché, ad esempio, si potrebbero spostare i propri capitali dalla Grecia alla Germania senza alcun rischio e senza essere in alcun modo ostacolati. Dall’altro, però, lo Stato da cui i capitali partono sarebbe sotto attacco con scarse possibilità di difesa non possedendo più le competenze finanziarie, centralizzate a livello europeo. Le conseguenze sarebbero abbastanza serie: infatti, si potrebbe verificare, il crollo del sistema finanziario/bancario a causa dell’assenza di liquidità nel paese e del probabile downgrade dei titoli di Stato posseduti dalle banche che spesso hanno in “pancia” una gran quantità di tali titoli.

Lo Stato potrebbe, quindi, al massimo reintrodurre i controlli sul movimento dei capitali introducendo dei limiti amministrativi all’uso dei contanti a causa della scarsità di liquidità nel paese. Cosa che storicamente avviene sempre dopo che i capitali sono già fuoriusciti. Nonostante le misure prese, però, il problema da risolvere sarebbe quello di salvare il sistema bancario senza il quale l’intera economia del paese andrebbe “gambe all’aria”. A meno di una nuova politica innovativa da parte della BCE, una delle soluzioni più percorribili sembrerebbe essere quella di introdurre una nuova/vecchia moneta per ricapitalizzare il sistema bancario, abbandonando la moneta unica in modo non volontario. Questo dimostra come i richiami di Brancaccio e degli altri economisti riguardo la necessità di un piano di riserva per l’abbandono della moneta unica, a prescindere dalle posizioni di principio di chi è alla guida del paese, siano fondati. Fare un salto nel buio avrebbe conseguenze ben peggiori.

Francesco Paolo Marco Leti