La Difesa europea, una questione complicata

Di Daniele Oro – Di fatto viene lanciata la cooperazione strutturata permanente in campo militare grazie alla quale i partner Ue, o alcuni di loro, possono unire le forze in caso di necessità. Saranno presenti anche i famosi Battle Groups che furono istituiti ma, mai effettivamente utilizzati.

La questione della difesa europea è sempre stata, dopo Maastricht, al centro di numerose discussioni e visioni opposte, dal momento che non tutti gli Stati Membri, in primis il Regno Unito, erano d’accordo ad estendere le competenze della neonata Unione Europea anche in ambito militare.

Eventi come la Guerra in Jugoslavia e nel Kosovo, però hanno evidenziato la scarsa capacità dell’Unione stessa di gestire queste crisi senza l’utilizzo dell’Hard Power, dimostrando come la Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC) fosse del tutto inutile senza il supporto di una forza armata europea, senza il quale il suo potere di negoziazione risultava nullo.

Nel 1998 venne stipulato il trattato di St. Malò tra Francia e Gran Bretagna. Quest’accordo fu la sintesi delle due visioni prevalenti in Europa: da una parte la posizione britannica tradizionalmente critica, filo-atlantica e timorosa di compromettere i rapporti con la Nato e con gli Stati Uniti; dall’altra parte, la visione francese che aspirava ad una maggiore indipendenza dagli USA.

Il compromesso di St. Malò permise di sostenere le capacità militari europee in grado di condurre delle operazioni militari in maniera autonoma dalla NATO in tutti quei casi in cui l’alleanza atlantica non fosse interessata ad intervenire.

In questo scenario compromissorio, la presidenza tedesca dell’Unione Europea si adoperò per conciliare le varie visioni, europeizzando l’accordo bilaterale e al Consiglio Europeo di Colonia del 1999 venne formalmente istituita la Politica Estera di Sicurezza e Difesa (PESD, oggi Politica di Sicurezza e Difesa Comune PSDC) come apparato militare della PESC.

Venne quindi fissato nel 2003 un termine di scadenza per dotare l’Unione Europea di una Forza di Reazione Rapida Europea (FRRE) dotata di 60.000 uomini schierabili il 60 giorni e capaci di rimanere attivi per un anno intero. Questa forza  era concepita per essere militarmente autonoma e dotata delle opportune capacità di comando e di controllo, nonché della logistica e di unità di supporto etc.

L’obbiettivo era quello di creare non un esercito europeo, ma una “forza virtuale” sulla base di contributi nazioni, a cui l’Unione Europea poteva fare ricorso, previa decisione unanime del Consiglio, in modo da dare più voce alla Politica Estera europea.

Venne stabilita la creazione dei battle groups cioè un gruppo tattico che consiste in una forza specializzata ad alta operatività e prontezza, composto da 1500 uomini, schierabili in 10 giorni e capaci di sostenere operazioni militari per 120 giorni. Questi gruppi tattici potevano essere formati su base nazionale, multinazionale e sul principio della Nazione guida. Ad ogni gruppo tattico è associato un quartier generale, un servizio logistico ed un servizio di trasporto strategico e possono essere di supporto sia per missioni PESD che per missioni ONU.

Oggi l’Unione Europea ha istituito 18 gruppi tattici, ma non sono mai stati utilizzati e praticamente dimenticati; tutto ciò perché gli Stati membri continuano ad organizzare la loro difesa prevalentemente a livello nazionale e sono restii a cedere la loro sovranità agli organi UE.

Questa spinta del Consiglio Europeo sul tema della Difesa promosso dal Presidente francese Macron, e l’uscita di scena della Gran Bretagna dall’Unione fanno ben sperare sul futuro della difesa comune e questo potrebbe essere un forte segnale per ultimare il processo di integrazione europea, passando dall’integrazione economica a quella politica, progetto che ha le sue radici nel trattato fallito della Comunità Europea di Difesa del 1953.


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