Il problema del divario intergenerazionale in Italia

Di Ugo Lombardo – Prima di entrare nel merito della ricerca e comprendere in che cosa consiste tale divario intergenerazionale, è necessario chiarire i termini baby boomers e Millenials. Vari autori si sono soffermati cercando di dare una definizione di carattere temporale a questi termini, senza però essere riusciti a darne un’univoca definizione.

Sicuramente, nel corso del tempo, sono nate e cresciute delle generazioni che, influenzate dal periodo storico nel quale sono vissute sono state dotate di caratteristiche per le quali è possibile fare una distinzione di massima. Bisogna tenere presente, infatti che, in accordo con i due storici americani Neil Howe e William Strauss, sono i grandi eventi a segnare le attitudini e l’immaginario di un intero gruppo e quindi di una generazione di persone.

Entrambi questi autori hanno ideato una teoria sulla determinazione delle generazioni attraverso la quale hanno definito la Boom Generation (cioè i nati tra il 1946 e 1964), influenzata dagli eventi della generazione che li ha preceduti, ovvero quella definita Silent Generation (i nati tra il 1929 ed il 1945). In questa teoria gli storici affermano che vi è un imprinting secondo degli archetipi che storicamente si susseguono e che definiscono le varie generazioni nel tempo. Questi sono: l’Artista – il Profeta – il Nomade e l’Eroe.

Mentre “gli artisti” sono quelli nati in un periodo di guerra o crisi con un’infanzia travagliata e tendono ad avere un’esistenza quieta (Silent Generation), “i profeti”, invece, sono inclini ad una sorta di risveglio spirituale visionari e moralisti. Sono proprio i baby boomers a cui segue la cosiddetta generazione alienata o “nomade” nata tra il 1964 e 1982. Rimangono gli “eroi” che dotati di pragmatismo grande energia e fiducia sono quelli nati tra il 1982 e il 2005, periodo nel quale rientra la generazione dei Millenials.

Oggi il problema sembra essere quello per il quale la generazione dei baby boomers abbia creato un grande solco con le giovani generazioni, senza lavoro o sotto occupate. Il generation gap, concetto che esprime distanza, incomunicabilità tra due mondi storicamente, culturalmente, in contrapposizione, sembra essere, infatti, aumentato.

Questo perché la generazione dei baby boomers, ha avuto un ventaglio di opportunità maggiore rispetto alle nuove generazioni, grazie al grande periodo di sviluppo economico, successivo la seconda guerra mondiale, di cui hanno goduto e continuano a godere, gli effetti benefici proprio a discapito delle generazioni più giovani. È lecito, quindi, chiedersi se gli “Eroi” di questo tempo, saranno in grado di riprendersi il loro futuro.

Per questo un gruppo di ricerca, coordinato dal professor Monti, docente presso l’università Luiss Guido Carli, ha compiuto un’analisi comparata. Il tema è proprio quello della riduzione del divario intergenerazionale attraverso l’aggiornamento nel 2030 di uno specifico indicatore (Indicatore di Divario Generazionale) al fine di definire uno scenario dell’Italia nel prossimo futuro.

Tale divario consiste nell’incapacità delle nuove generazioni di rendersi economicamente autonome e dall’analisi fatta è emersa una “forbice” le cui “lame” tra il 2004 e la stima del 2030 triplicano la loro distanza. Se, cioè, un giovane di vent’anni nel 2004, per raggiungere l’indipendenza, doveva scavalcare un “muro” di 1 metro, nel 2030 quel muro sarà alto 3 metri e dunque invalicabile. E, lo stesso giovane, se nel 2004 aveva impiegato 10 anni per costruirsi una vita autonoma, nel 2020 ne impiegherà 18, e nel 2030 addirittura 28. Questo significa che i giovani d’oggi diventerebbero, “grandi” a cinquant’anni!

Quest’analisi poggia le sue basi e le sue soluzioni sui principi di solidarietà (art.2) e di uguaglianza (art.3), sanciti dalla nostra Costituzione, tenendo presente che non è possibile essere uguali di fronte alla legge se prima non si eliminano le cause che generano le condizioni di diseguaglianza e che impediscono a tutti di fruire dei medesimi diritti civili e politici. Per andare oltre il “muro” non sono più sufficienti le singole forze di ogni giovane ma è necessario un contributo intergenerazionale che permetta di saltare e superare quest’ostacolo.

Partendo da questo presupposto la Fondazione ha elaborato una soluzione che prevede proprio l’introduzione di un contributo solidaristico a carico dei pensionati con le pensioni più elevate attraverso un approccio progressivo tenendo presente la capacità contributiva dei contribuenti. Si tratta del coinvolgimento di circa due milioni di cittadini pensionati, posizionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche e beneficiati dal precedente sistema retributivo. Questo si tradurrebbe in un prelievo circoscritto nel tempo (tre anni) e giustificato da una situazione di “ritardo generazionale” che ha raggiunto, livelli emergenziali traducendosi nell’attuale elevato grado di difficoltà, per i giovani, a entrare nel mondo del lavoro.

Tra questi, bisogna tenere in considerazione anche i Neet (Not engaged in education, employment or training) che nel 2016 rappresentano ben 2,3 milioni di giovani fra i 14 ed i 29 anni in Italia. Essi sono il termometro del crescente disagio sociale che colpisce le nuove generazioni e che tende a falsare l’andamento del tasso di disoccupazione. Il fine ultimo è quello di creare un adeguato fondo per le politiche giovanili in grado di finanziare, con circa 35 miliardi di euro, le misure necessarie allo scopo di raggiungere quell’equità intergenerazionale che sembra ancora oggi, un lontano miraggio.


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