Primarie Pd, Renzi si riprende il partito e lancia la corsa a Palazzo Chigi

Lo scorso 19 febbraio, la convocazione della fase congressuale nel corso dell’Assemblea Nazionale, era stata giudicata dalla minoranza come un atto di forza del dimissionario Renzi, una sorta di “resa dei conti” verso i propri avversari. A distanza di due mesi, si può dire che la prova di forza è stata ultimata, con numeri che parlano di una contesa che, in realtà, non è mai stata tale. Più del 70% dei due milioni di votanti ha espresso la propria preferenza verso l’ex premier, dimostrando come Matteo Renzi avesse e abbia ancora il pieno controllo del Partito democratico.

A poco sono serviti i due mesi di campagna congressuale, caratterizzati da qualche contenuto sparso qua e là, da pochi confronti tra i candidati, incidenti personali (Emiliano), e da «fantomatici» scandali nazionali (Consip). Renzi, dall’alto del suo vantaggio, nelle sue centellinate apparizioni televisive si è concentrato sui risultati dei suoi mille giorni di governo. Andrea Orlando ha provato a incidere con temi sensibili alla sua tradizione “comunista”, come la lotta alla povertà. Michele Emiliano, infine, ha puntato sulla riforma della scuola e sul recupero del Sud, sfruttando il malessere verso Renzi emerso con l’esito del referendum dello scorso 4 dicembre.

Risultato: l’uomo forte è rimasto al comando. I toni, però, espressi nel corso della campagna congressuale da tutti e tre i candidati, lasciano presagire la volontà di unificare il partito. Fatto confermato nelle dichiarazioni.

In primis dallo stesso Matteo Renzi. «Nessuna rivincita, ma solo un nuovo inizio», ha sintetizzato il nuovo segretario, il quale ringraziando i suoi concorrenti, ha poi smentito la tesi che il Pd sia più che mai il partito di Renzi. «Non è un partito personale quando 2 milioni di persone vanno a votare», ha ribadito. Inevitabile che Matteo Renzi abbia voluto rimarcare il dato dell’affluenza. I timori della vigilia, suffragati dal ponte del primo maggio, erano tali che l’obiettivo dichiarato “soddisfacente” potesse essere un milione di votanti. E invece, si è andato oltre. Anche se c’è chi, soprattutto tra la minoranza, sottolinea come l’affluenza al nord, nelle cosiddette regioni “rosse”, sia crollata rispetto al 2013. Un rallentamento che è stato, invece, contenuto al Sud, con i 100mila della Sicilia e i 140mila della Puglia, dove nel complesso il successo di Renzi è stato meno netto.

Dettagli in una vittoria comunque indiscutibile. Adesso, però, in molti si chiedono quanto le percentuali roboanti delle primarie possano incidere sulla stabilità del governo Gentiloni. La tentazione di andare alle urne sembra tanta, ma Matteo Renzi ha voluto subito gettare acqua sul fuoco, indicando nel 2018 il prossimo termine per le elezioni. I mesi che restano saranno utili per capire, non solo con quale legge elettorale si andrà a votare, ma soprattutto con quale schema di alleanze. E sul modo in cui il suo nuovo Pd gestirà questi punti, Matteo Renzi si gioca parte della propria corsa verso Palazzo Chigi.

Mario Montalbano