Mine vaganti: la non-logica del terrorismo

E questi sono solo alcuni dei punti colpiti: solo dal 2015, abbiamo visto un intensificarsi di attacchi di qualsiasi genere, dagli attacchi suicidi alle sparatorie, dalle bombe abbandonate in mezzo a folle di persone alle esecuzioni di singoli bersagli.

Si può notare la distanza, anche geografica, dei luoghi che abbiamo citato. Questa “guerra nascosta” (perché ormai di guerra si tratta, a tutti gli effetti) viene combattuta, giorno per giorno, in quasi ogni parte del globo, nonostante spesso vengano raccontati solo gli episodi ritenuti più eclatanti. Quanto si può davvero contrastare questa minaccia, se non si ha neppure idea di dove potrà essere il prossimo attacco?

Non dimentichiamo, inoltre, che non tutti gli episodi sono riconducibili a organizzazioni di alcun tipo. Può benissimo capitare che un episodio di questo genere, opera di un singolo, non sia poi riconducibile ad uno schema più grande. O, altrettanto plausibile, che venga rivendicato da un gruppo terroristico, pur non essendo davvero organizzato in alcun modo dallo stesso.

Proseguendo su questa riflessione, va infatti notato che il modus operandi di questi gruppi non richiede necessariamente un impegno in prima persona. Spesso basta reclutare attraverso proclami di varia natura, ottenendo così “manodopera locale” disposta a fare quello che normalmente verrebbe attribuito a terroristi “titolati”, cioè possibilmente noti alle forze dell’ordine; il tutto senza avere alcuna necessità di operare attivamente, mostrando però risultati altrettanto efficaci. Tra l’altro, il tutto con armi procurate dagli stessi attentatori, o a volte anche con ordigni e attrezzature “fai-da-te”.

Alcuni dei membri di queste organizzazioni terroristiche sono anche appartenenti a nazionalità diverse da quelle che sono normalmente identificate come sospette; “foreign fighters” convinti e coinvolti sull’onda di una qualche emozione che li ha trascinati nel gorgo di questa divisione ormai netta tra due poli.

Il risultato, comunque, non cambia: forte diffidenza nei confronti di chi viene principalmente da determinati stati e pratica una religione ben precisa (in questo caso identificata con l’Islam), grande paura nella vita di ogni giorno, e una richiesta di maggiore sicurezza, volta dalle popolazioni ai governi. La politica, quindi, si trova obbligata in qualche modo a rispondere a quanto richiesto. Ma che metodi vengono utilizzati?

Abbiamo notato come alcuni stati abbiano sospeso gli accordi di Schengen, in risposta alla cosiddetta “minaccia del terrorismo che preme sui confini”. Siamo sicuri che sia davvero la risposta giusta? Dopotutto i fratelli Kouachi, i due attentatori che hanno colpito la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, il 7 Gennaio del 2015, erano nati e cresciuti a Parigi, seppur da genitori algerini, così come il loro amico Ahmed Coulibaly, che dopo aver sparato a dei poliziotti, uccidendone una, si barricò in un supermercato e uccise quattro persone di religione ebraica. Quindi a volte sono proprio membri della società stessa, a volte magari ai margini, a creare questi pericoli.

Ma, nonostante sia stato fatto presente questo dettaglio, anzi, forse proprio con questa consapevolezza, si continua coi proclami, e la politica risponde sempre più alle nuove esigenze di isolamento e di protezionismo. Lo si vede con la corrente politica che ascende in più stati, sempre più fortemente intrisa di concetti di “noi contro di loro”, invocando la chiusura dei confini contro questi “stranieri” che tanto portano paura e sconforto nella popolazione. Lo si vede con la Gran Bretagna, che taglia i ponti con l’Unione Europea come se essa fosse la causa dei loro mali. Ma lo si vede, soprattutto, con gli Stati Uniti di Trump, e con la politica estera molto aggressiva portata avanti, anche con vere e proprie sfide agli armamenti con altri stati.

E in questo clima di divisione assoluta, continuiamo a temere questo nemico non meglio definito, che ci crea tanta paura e tanta rabbia, e ci porta a reclamare più sicurezza con meno freni. Una strada nebulosa da imboccare, e con tanti risvolti da studiare.

Marco Cerniglia


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