La libertà di stampa tra celebrazioni e classifiche

L’assemblea generale dell’ONU ha dichiarato il 3 maggio “Giornata mondiale della libertà di stampa” per evidenziare l’importanza della libertà di stampa e ricordare ai governi il rispetto dell’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà di opinione senza interferenze e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere”.

L’UNESCO ricorda questa giornata conferendo il premio Guillermo Cano World Press Freedom Prize, riconoscimento assegnato a quanti (individui, organizzazioni o istituzioni) hanno dato un contributo evidente alla difesa e/o alla promozione della libertà di stampa ovunque nel mondo, specialmente quando essa è minacciata. Istituito nel 1997, il premio viene assegnato da una giuria indipendente formata da quattordici giornalisti professionisti e dagli Stati membri dell’UNESCO.              

Il nome del premio è in onore di Guillermo Cano Isaza, giornalista colombiano ucciso il 17 dicembre 1986, davanti alla sede del giornale El Espectador per il quale lavorava. La Giornata internazionale per la libertà di stampa fu proclamata il 3 maggio 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione della Conferenza Generale dell’UNESCO. La data del 3 maggio è stata scelta per ricordare il seminario UNESCO per la promozione dell’indipendenza e del pluralismo della stampa africana (Promoting an Independent and Pluralistic African Press) tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio 1991 a Windhoek, in Namibia. Questi incontri portarono alla redazione della Dichiarazione di Windhoek, documento che afferma i principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia ed il rispetto dei diritti umani.

La scorsa settimana l’organizzazione non governativa Reporters Sans Frontières ha pubblicato il World Press Freedom Index del 2017, la classifica annuale che ordina i Paesi del mondo in base al loro grado di libertà di stampa. L’Italia occupa il 52° posto su 180, avendo recuperato ben venticinque posti rispetto al 2016 quando era al 77° posto. Ai primi posti si confermano i Paesi scandinavi con la Norvegia in testa seguita da Svezia e Finlandia. In fondo alla graduatoria troviamo la Corea del Nord di Kim Jong-Un, preceduta da Eritrea e Turkmenistan; da segnalare il 155° posto della Turchia di Erdogan (-4 rispetto al 2016) ed il 148° della Russia di Putin (stabile in classifica).                  

La metodologia utilizzata da RSF per stilare questa classifica segue alcuni criteri qualitativi ed altri quantitativi. Viene distribuito un questionario tradotto in venti lingue ad associazioni, gruppi e singoli giornalisti, scelti a discrezione di RSF. Questi partner rispondono ad una serie di domande raggruppate in sette argomenti: pluralismo, indipendenza dei media, contesto ed autocensura, legislatura, trasparenza, infrastrutture ed abusi. I vari punteggi vengono “pesati” diversamente con una complicata formula matematica tramite la quale, in base ai primi sei argomenti, si ottiene un primo punteggio, il cosiddetto “ScoA”.

Il secondo punteggio viene poi elaborato, tenendo conto del numero di giornalisti uccisi nel Paese, di quelli arrestati, di quelli minacciati e di quelli licenziati. Il risultato di questa formula viene a sua volta inserito in un’altra formula insieme allo “ScoA”. Dati quantitativi su violenze e minacce sommati allo “ScoA” producono il secondo punteggio, lo “ScoB”. Nella classifica finale, RSF utilizza il dato più alto tra “ScoA” e “ScoB”. La mappa del mondo viene quindi colorata in base ai punteggi ottenuti da ciascun Paese: da 0 a 15 punti “buono” (colore giallo chiaro), da 15,01 a 25 punti “abbastanza buono” (colore giallo), da 25,01 a 35 punti “problematico” (colore arancione), da 35,01 a 55 punti: “grave” (colore rosso), da 55,01 a 100 punti “molto grave” (colore nero). È un metodo molto complesso, che RSF ha raffinato nel corso degli anni e che è stato discusso e criticato su diverse riviste specializzate. Esso si basa in gran parte sulle opinioni soggettive di enti e persone scelte da RSF ed è quindi influenzato dalla loro sensibilità personale e dal loro contesto; di certo tale metodologia rischia di portare a volte a risultati bizzarri o difficilmente spiegabili.

L’Italia ad esempio, tra il 2013 e il 2014 aveva perso ventiquattro posizioni, scendendo dal 49° al 73° posto. Tra le ragioni fornite da RSF per questo calo c’era stato un aumento delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti nonché delle cause di diffamazione giudicate infondate. Nel 2015 c’era stata un’ulteriore perdita di quattro posti in classifica, imputabile anche ad altre motivazioni quali il numero di giornalisti sotto protezione della polizia ed il processo in cui erano coinvolti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, giornalisti autori di due libri sugli scandali nella Chiesa cattolica, recentemente assolti. Stando all’ultimo rapporto pubblicato, l’Italia, nonostante le venticinque posizioni recuperate, risulta tra i Paesi “problematici” (punteggio 26,26 / colore arancione), perché sei giornalisti sono ancora sotto protezione, avendo ricevuto minacce di morte soprattutto da parte della mafia o di gruppi fondamentalisti, e perché il livello di violenza contro i giornalisti (intimidazioni verbali, fisiche e minacce) è allarmante, soprattutto a causa di “politici che non esitano a colpire pubblicamente i giornalisti che non amano”. Si precisa altresì che i giornalisti, sentendosi in generale sotto pressione da parte dei politici, scelgono spesso di censurarsi, e che nel sud del Paese si devono confrontare con gruppi mafiosi e bande criminali locali.

Francesco Polizzotto