Ceuta e Melilla: dove le frontiere europee incontrano l’Africa

In questa seconda tappa de L’Europa murata (qui la prima tappa), soffermeremo la nostra analisi sulle due città autonome di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole, appartenenti geograficamente al Marocco e politicamente alla Spagna da circa cinque secoli. Le due città autonome fanno parte a tutti gli effetti dell’Unione Europea e con il Trattato di Schengen, diventarono un ponte di collegamento tra due continenti, finora legati alle sole mire espansionistiche.

Per la loro posizione strategica, situate sulla costa settentrionale del Nord-Africa, circondate dal Marocco e affacciate sulla costa del mar Mediterraneo, queste città hanno attratto, a partire dagli anni ’90, numerosi migranti subsahariani, intenzionati a varcare il confine e raggiungere così l’Europa. Ecco perché nel 1999, la Spagna, attraverso finanziamenti della Comunità europea, progettò e costruì una alambrada, una recinzione di filo spinato. Da quell’anno, quei confini immaginari tra Europa e Africa, divennero presto fortificati e cementificati, in un territorio che per secoli è servito da vettore di scambio tra culture e civiltà diverse. Le barriere di ferro e filo spinato, le sole frontiere europee in terra africana, alte inizialmente tre metri, poi raddoppiate a sei e lunghe complessivamente 20 chilometri (8km a Ceuta e 12km a Melilla), segnano idealmente una linea divisoria, insormontabile, tra Europa e Africa. Due muri di filo spinato, separati da una strada con torri d’avvistamento in mezzo, sono dotati di sistemi di videosorveglianza, sensori per la visione notturna, raggi infrarossi, torri di controllo e illuminazione ad alta intensità. Queste barriere sono inoltre costantemente pattugliate su entrambi i fronti da milizie spagnole e marocchine.

La situazione normativa in ambito di migranti è peggiorata di anno in anno. La legge spagnola sui Diritti e sulle Libertà dei stranieri in Spagna e sulla Integrazione sociale, è la Ley Orgánica 4/2000, dell’11 gennaio. Riformata quattro volte dal 2000, stabiliva che il migrante, entrato clandestinamente nel territorio nazionale, in seguito all’identificazione presso un ufficio della polizia, avrebbe avuto l’opportunità di fare eventuale richiesta di asilo. Dal 2015 si aggiunge una piccola postilla a piè della Legge di Sicurezza Cittadina, che va a modificare la normativa esistente. La Ley Orgánica 4/2015 garan­ti­sce legit­ti­mità giu­ri­dica alla devoluzione en calientes (il c.d. respingimento a caldo), una consuetudine illecita già ampiamente praticata nelle zone di frontiera delle due città, per ammis­sione dello stesso mini­stro degli interni Jorge Fer­nán­dez Díaz. Il respingimento a caldo prevede, infatti, l’esplulsione collettiva dei migranti colti sul fatto, senza che ne sia verificata l’identità e senza l’ausilio di un avvo­cato o di un interprete. Messo in atto dalle forze di polizia spagnole e marocchine, preclude quindi ogni possibilità di colloquio con i migranti, che vengono automaticamente rimandati in territorio marocchino.

Questo impedisce di veri­fi­care se la per­sona che entra irregolarmente nel territorio nazionale, necessita di asilo o di protezione internazionale, a esclusione di quella umanitaria, non contemplata nell’ordinamento giuridico spagnolo. Una pra­tica con­sueta con cui la Guar­dia Civil respinge i migranti senza seguire la consuetudine internazionale e senza pro­ce­dere all’identificazione che esige la nor­ma­tiva comunitaria riconosciuta a livello internazionale.

La disposizione afferma che, in ogni caso, il respingimento avverrà nel rispetto dei diritti umani e della protezione internazionale. Anche se, risulta dif­fi­cile imma­gi­nare come i respingimenti collettivi ed immediati possano combinarsi con la garanzia dei diritti umani. Inoltre la finalità di dotare di copertura legale le espulsioni a caldo, risiede proprio nel rischio che correvano gli agenti di polizia nel metterle in pratica. La reiterazione di questa condotta, anche precedentemente praticata ma quantomeno illegale, esponeva gli agenti a conseguenze giuridiche e responsabilità penali. Viene quindi legittimata e normativizzata la violazione di diritti umani fondamentali e la violenza da parte delle forze dell’ordine, giustificate in questo caso a trasgredire la consuetudine internazionale per poter espletare i loro doveri.

Questa pratica di dotare di copertura legale una condotta illegittima ha mosso diverse critiche, tanto a livello locale che internazionale. Organizzazioni non governative, Unione Europea, Consiglio D’Europa e Nazioni Unite hanno denunciato l’illegalità di questa pratica.

Mentre, nei primi anni ’90, i flussi migratori giungevano quasi esclusivamente dall’Africa subsahariana, a partire dal 2014 a questi, si sono aggiunte le tante richieste di asilo avanzate da siriani, durante colpiti dalla guerra in corso. Non si può quindi commettere il semplicistico errore di unificare la mole di gente che giunge in queste città ed etichettarli complessivamente come immigrati clandestini. Tra di essi, infatti, vi sono diversi profughi richiedenti asilo politico, che meritano per legge di essere accolti.

L’accordo bilaterale, più o meno esplicito, tra Unione Europea e Marocco, che regola questo lavoro congiunto di respingimenti, rappresenta un altro fallimento della comunità internazionale. Infatti, il Marocco, indipendente e sovrano nel suo territorio, continua a violare i diritti fondamentali delle persone, ricorrendo spesso all’uso della forza e alla coercizione. Questo dimostra come qualsiasi tipo di accordo con paesi, come il Marocco con la Spagna o la Libia con l’Italia, che violano i diritti umani, siano a fini umanitari solo in apparenza. Oltretutto, questi accordi bilaterali sono spesso utilizzati da questi paesi per estorcere favori all’Ue, disposta a tutto, evidentemente, pur di diminuire i flussi migratori verso le sue coste.

In un contesto di cementificazione delle frontiere, espulsioni immediate, politiche di chiusura e accordi bilaterali per la gestione dei flussi migratori, il ruolo dei diritti umani è seriamente messo in pericolo. Queste città rappresentano il non plus ultra, dicitura che curiosamente compare nella bandiera di Melilla. Questa espressione, che indica il limite estremo raggiungibile, sembra avere quasi valore profetico, a indicare proprio la fine di ogni viaggio e di ogni speranza; il limite estremo raggiungibile e non oltrepassabile.

Martina Costa


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