Le certezze del G7: la forza di Trump e la debolezza dell’Europa

Ha ceduto sul protezionismo, ma ha ribadito la propria opposizione a ogni scorrettezza nel commercio. Ha ammesso la complessità della situazione dei migranti, ma ha imposto la riaffermazione del diritto sovrano degli Stati a controllare i loro confini. E cosa ancora più importante, ha lasciato inermi gli altri leader di fronte alla sua minaccia di uscire dall’accordo di Parigi sul clima. Questo è il bottino, da autentico mattatore e vincitore della contesa, che Donald Trump è riuscito a portarsi appresso dal G7 di Taormina.

«Trip was a great success for America. Hard work but big results!». Lavoro duro e grande risultato. Così Trump ha espresso via Twitter la propria soddisfazione di ritorno dalla Sicilia. Altro che “sei contro uno”, dell’America isolata e accerchiata dalla governance globale (ed europea), come, in qualche modo, è venuto fuori dal documento finale che ha chiuso i lavori. Trump ha fatto, come il personaggio e i suoi metodi volevano, la voce grossa su tutti i punti che gli interessavano. Ha mollato solo per un attimo il protezionismo del “first american”. Ma, al contempo, ha tirato le orecchie alla Germania sullo scottante argomento del surplus commerciale e sulle sue politiche “scorrette” dei dazi, non mancando di strizzare l’occhio alla alleata May.

Donald Trump, però, ha fatto breccia anche su altro. Ha legittimato per iscritto la propria linea sui muri messicani e sulle quote dei paesi islamici da ammettere nel proprio paese. E sul clima, ha impresso ancora di più la propria prepotenza politica, prendendo le distanze dal suo predecessore Obama. E quale occasione migliore per dimostrarlo se non mettendo in discussione l’accordo di Parigi? In verità, nessuna decisione definitiva è stata ancora presa, ma la suspense creata appare solo la normale scenografia del modus operandi del tycoon, che come anticipato da alcune indiscrezioni dei media statunitensi, sembra aver deciso di far defilare gli States dall’accordo di Parigi. Con buona pace degli altri leader europei, e della Merkel su tutti, che della kermesse è apparsa di gran lunga la più insoddisfatta dall’atteggiamento da padre padrone del presidente americano. «Sono finiti i tempi in cui ci potevamo fidare gli uni degli altri», ha ribadito la cancelliera tedesca, riferendosi chiaramente a The Donald e in parte all’intrusa Theresa May.

E allora ecco che da parte della stessa Merkel viene rilanciato, il giorno dopo il G7, il progetto dell’Unione europea politicamente ed economicamente più forte, ma soprattutto indipendente dal punto di vista militare. Un’idea di cui si discute da anni, e che viene fuori ogni qualvolta l’Europa evidenzia le proprie debolezze nel confronto con gli altri partner globali. Un presupposto del momento, insomma, in attesa che la rabbia per lo sgarbo “americano” finisca e tutto torni alla normalità, con un’Europa debole e spaccata di fronte al leader che ha promesso di sconvolgere il mondo. Riuscendoci.

Mario Montalbano