Noi, giovani siciliani del post ’92

 

Custodisco gelosamente il quadretto che ritrae Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con sopra la Costituzione della Repubblica italiana. Spesso mi capita di guardarlo e mi sento sempre orgoglioso di essere siciliano. Eravamo appena nati, quando la Sicilia è stata scossa dalle due stragi del 1992, quella del 23 maggio a Capaci e quella del 19 luglio in via Mariano d’Amelio; personalmente quest’ultima mi colpisce ancor di più poiché cade esattamente un giorno prima del mio compleanno.

Gli attentati hanno ucciso i due giudici e le loro scorte, ma hanno gettato le basi per quella generazione che doveva sobbarcarsi l’onere di diventare “la generazione antimafia”. Proprio il termine “antimafia” è stato spesso esautorato del suo significato nobile per rivestire quello di ricerca di successo e di creazione di consenso. In molti (politici e non) ne hanno abusato proprio per farsi strada, infangando il grosso lavoro svolto da Giovanni, da Paolo e da tutte le persone che in Sicilia hanno realmente combattuto la mafia.

Per noi “antimafia” riveste un significato particolare: è antimafia chi pretende lo scontrino al negozio, perché sa che eludendo la sua emissione, favorisce il lavoro nero e l’economia sana della nazione; è antimafia non ricercare la raccomandazione per ottenere un posto di lavoro, perché, così facendo, si mette a repentaglio l’intero sistema, dal momento che molto spesso, il raccomandato è una spina nel fianco della pubblica amministrazione; è antimafia chi rifiuta di promettere il voto a qualcuno perché sa che l’eletto col meccanismo del “voto di scambio” danneggia la politica e quindi la collettività; è antimafia chi decide di rimanere in Sicilia nonostante tutto, perché vuole realizzarsi in questa terra che ci ha dato i natali e che, seppur disgraziatamente sporca, resta la terra più bella tra tutte.

La mia generazione è cresciuta nel contesto post ’92. Sappiamo cosa portò all’uccisione di Giovanni e di Paolo. La mafia è stata la parte esecutrice di quei terribili attentati, ideati da “menti raffinatissime”, come disse Paolo Borsellino qualche giorno prima di trovare la morte. Il lavoro del pool antimafia aveva portato alla luce gli intrecci tra l’organizzazione mafiosa ed alcuni apparati statali. Occorreva fermare a tutti i costi chi stava svelando tante verità, lottando per uno Stato giusto. Purtroppo ci sono riusciti e la ferita è ancora difficile da rimarginare, ma a distanza di tanti anni forse il peso del tritolo ha lasciato spazio alla coscienza della popolazione: Falcone e Borsellino non hanno sacrificato le loro vite invano!

La generazione che è nata dalle macerie di quegli attentati è cresciuta con una coscienza diversa da quella dei loro genitori, così come aveva già intuito lo stesso Borsellino, pronunciando queste parole nel suo ultimo discorso pubblico:

La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Noi giovani siciliani siamo fieri di quello che avete fatto. Grazie Giovanni, Grazie Paolo!