Le Madri de Plaza de Mayo: 40 anni di resistenza

Nel 1976 un colpo di stato, capeggiato dal generale Videla, destituì il governo di Isabel Martinez de Perón, succeduta al marito. Il regime militare aveva l’obiettivo di eliminare fisicamente tutti i dissidenti con agghiaccianti modalità di esecuzione: squadre di militari in borghese arrivavano con una Ford Falcon senza targa, prelevavano i dissidenti o i presunti tali, talvolta anche le loro famiglie, piombando nelle case in piena notte o sui posti di lavoro di giorno. Una volta trasferiti in luoghi segreti di detenzione, i prigionieri venivano sottoposti a trattamenti disumani e a torture che potevano protrarsi per mesi. Si torturarono e si uccisero circa 30.000 desaparecidos. In poco tempo le madri non rimasero più in casa ad aspettare: iniziò dunque un quotidiano pellegrinaggio spontaneo di donne negli uffici di polizia, nelle carceri, al ministero degli Interni, nelle chiese per ricevere notizie dei propri figli.

Con el pañuelo blanco in testa, il fazzoletto bianco divenuto il simbolo della lotta, il 30 aprile 1977 un gruppo di poche donne decise di recarsi dinanzi alla sede del governo, nella Plaza de Mayo, sede degli incontri politici, armate solo delle foto dei figli scomparsi, sfidando la giunta militare. L’idea di una di loro, convinta che se si fossero presentate in gruppo il governo sarebbe stato costretto a riceverle, aveva dato inconsapevolmente vita ad uno dei movimenti di resistenza che ha segnato la storia. Date le leggi restrittive, le donne furono invitate a sgomberare. Per tutta risposta, quelle madri, disperate si misero a girare attorno all’Obelisco della piazza, a due a due, a braccetto, in modo da eludere il divieto fascista di non potersi riunire in gruppi di più di tre persone. La risposta che il governo forniva a queste donne era che non essendoci traccia dei figli, non si potevano dichiarare morti ma, semplicemente, scomparsi.

Da quarant’anni, ogni giovedì  alle 15.30,  le madri si ritrovano a Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, per mantenere vivo il ricordo delle aberrazioni della dittatura, senza smettere mai di cercare i figli portati via dalla giunta militare.

Alla resistenza delle madri, si è affiancata quella delle Abuelas, le nonne dei neonati strappati alle prigioniere che venivano fatte partorire e poi uccise. Questi bambini furono illegalmente adottati dalle famiglie dei militari, spesso dei più alti ranghi, e talvolta crebbero in Paesi differenti da quello argentino, come l’Italia.

I tentativi del regime di reprimere le manifestazioni di queste donne, quale l’assassinio della fondatrice del movimento, Azucena Villaflor, sequestrata e gettata da un aereo nell’oceano, furono vani. Quando nel 1978 l’Argentina ospitò i campionati mondiali di calcio, le madri si incatenarono alle colonne di Plaza de Mayo per far conoscere il caso dei desaparecidos al mondo intero.

Quarant’anni di marce senza sosta, di lotte, di dubbi, di domande senza risposte, di manifestazioni, di grida, di pianti, di emozioni fortissime. Quarant’anni delle madri di Plaza de Mayo che hanno avuto il coraggio di trasformare un’esperienza personale insopportabile in un dramma collettivo.

A queste madri, “orfane” dei figli, qualcuno deve la verità.

Francesca Rao