Pd, sì al Congresso della scissione

In Direzione nazionale passa la linea di Matteo Renzi: il Pd convoca l’Assemblea e dà il via alla fase congressuale. E lo farà subito, con ogni probabilità il prossimo fine settimana. 107 i voti a favore della mozione presentata dalla maggioranza. Neanche posta a votazione l’ordine del giorno della minoranza, che avrebbe voluto una presa di posizione a supporto dell’attuale governo Gentiloni e tempi più lunghi del Congresso.

«Si chiude un ciclo» ha evidenziato Matteo Renzi nel discorso iniziale, in cui ha ripercorso la sua storia da segretario dal 2013 ad ora. «Ho preso un Pd che aveva il 25% di voti e nell’unica consultazione politica nazionale lo abbiamo portato al 40,8%», ha continuato. L’ex premier ha ricordato i “suoi” numeri alla guida del partito per preparare un congedo, tutt’altro che definitivo. Saranno dimissioni necessarie a titolo di statuto per permettere lo scioglimento anticipato dell’Assemblea e l’indizione di nuove elezioni entro i prossimi quattro mesi. E lì Renzi ci sarà per riprendersi le redini del partito.

«Nel pieno rispetto dello statuto, procediamo con le stesse regole del passato», ha sottolineato Renzi, parlando delle regole del Congresso. Un modo per mettere subito a tacere le possibili polemiche della minoranza. Anche su un’eventuale volontà di legare il destino del Congresso a un possibile ritorno alle urne. «Congresso e voto sono due concetti distinti. Non lo decido io», ha rimarcato Renzi. La data, semmai, sarà stabilita dal «premier, i ministri, il presidente della Repubblica e il Parlamento». Il segretario, poi, non si è nascosto: andare al Congresso significa stabilire una leadership, certo, ma anche una linea attorno a cui tutto il partito dovrà ricompattarsi. «Vinca chi ha le idee migliori. E chi si mette in gioco e non vince, il giorno dopo, dia una mano a chi ha vinto e non scappi con il pallone, come è accaduto». Un messaggio chiaro verso chi da mesi, ancora prima del referendum, ha avanzato ipotesi di scissione dal Pd a guida Renzi.

Possibilità questa che si fa sempre più concreta. Troppa la distanza con la minoranza dem, contraria rispetto a qualche settimana fa, all’idea del congresso anticipato. Meglio prima una conferenza programmatica, come richiesto da Bersani e dai tre candidati Emiliano, Speranza e Rossi. Un escamotage utile a riorganizzare le forze frammentate della minoranza, la quale, intanto, starebbe ragionando sulla presentazione di un unico candidato alla segreteria, con il nome in primo piano del dissidente della maggioranza e ministro della Giustizia, Andrea Orlando. E chissà, attendere nuove ed eventuali situazioni da poter imputare alla segreteria e all’ex governo Renzi: dalle manovre economiche, vedasi il tavolo delle trattative con l’Ue, alle prossime amministrative che si preannunciano negative per il Pd. Renzi, però, sembra aver fiutato il pericolo e ha ottenuto quello che voleva, il Congresso, che assomiglia a un’occasione per “contarsi” e per chiudere i giochi con la minoranza.   

Mario Montalbano