Le grandi aziende si scagliano contro Trump

I colossi della Silicon Valley hanno fatto fronte comune contro il travel ban di Donald Trump. L’azione arriva con un documento scritto a più mani presentato in tribunale nel quale si critica l’ordine esecutivo riguardante l’immigrazione negli Stati Uniti che è stato firmato dal presidente lo scorso 27 gennaio. 

Quasi cento grandi aziende (97 per la precisione) hanno espresso il proprio comune senso di ribellione nei confronti dell’attuale presidenza americana. Il muro, stavolta quello tirato su nei confronti dell’amministrazione Trump, si infoltisce di pezzi da novanta del mondo della tecnologia: Apple, Facebook, Google, Twitter, Microsoft sono i protagonisti del documento “amicus curiae” – letteralmente “amico della corte” e che indica un appello o una partecipazione non diretta mirata alla presentazione di dati e informazioni utili a un caso – che è stato presentato alla Corte di Appello di competenza. Tra i firmatari ci sono anche altri celeberrimi nomi come Netflix, Twitter, Mozilla, Dropbox, Amazon, Medium e Pinterest. Presso la stessa corte che esaminerà il documento prodotto dalle aziende è stato bloccato il muslim ban promosso e difeso dal presidente statunitense.

Le aziende hanno spiegato come la politica di esclusione portata avanti dall’attuale presidenza sia “un danno per le strategie imprenditoriali e per le attività” di molte di loro. Una valanga quella che si sta abbattendo sul neoeletto Donald Trump dopo la presa di posizione manifestata apertamente da diversi marchi commerciali durante le celebrazioni per il Super Bowl. I messaggi politici che hanno bombardato i festeggiamenti, dalle superstar ospitate fino agli spot – nonostante alcune censure della Fox, non abbastanza sfacciata in un’occasione simile – sono un segnale importante che proviene dal mondo dell’impresa, difficilmente trascurabile per il presidente dell’assumi americano e compra americano, come predicava nel suo primo discorso ufficiale d’insediamento.

Si legge nell’appello scritto dalle aziende il merito di chi è arrivato negli Stati Uniti: “Immigrants make many of the Nation’s greatest discoveries, and create some of the country’s most innovative and iconic companies”. Il documento parla anche dello spirito di accoglienza nel mantenimento della sicurezza nazionale: “America has long recognized the importance of protecting ourselves against those who would do us harm. But it has done so while maintaining our fundamental commitment to welcoming immigrants through increased background checks and other controls on people seeking to enter our country”.

Bloomberg News riporta anche un estratto, forse il più provocatorio dell’amicus curiae: “We share your goal of ensuring that our immigration system meets today’s security needs and keeps our country safe […]We are concerned, however, that your recent Executive Order will affect many visa holders who work hard here in the United States and contribute to our country’s success.”

Il tweet di Donald Trump, una risposta su tutte che ne racchiude molte altre dallo stesso tono, è spregiudicato e polemico: “The judge opens up our country to potential terrorists and others that do not have our best interests at heart. Bad people are very happy!”. Gli avvocati del dipartimento di giustizia difenderanno davanti ai giudici l’ordine di Trump sostenendo che si tratta di una misura perfettamente costituzionale perché in linea con una legge del 1952 che dà al presidente “la facoltà di bandire ogni classe di immigrazione” dal Paese.

Lo scontro tra la difesa di quella forza lavoro – il 40% di origini estere secondo alcune stime – che rende grandi le aziende più forti del paese e la difesa dei confini dai sette stati del ban per la lotta al terrorismo islamista, si deciderà in un aula di tribunale. Checché se ne dica dell’ipocrisia delle aziende che controllano il web per i propri stratosferici profitti – tra i quali la vendita al Governo di dati sensibili degli utenti – non è solo la piazza quella che marcia contro le decisioni dell’amministrazione Trump. I grandi marchi hanno alzato la voce.

Daniele Monteleone