Immigrazione negli USA: critiche e denunce contro l’ordine di Trump

In data 27 gennaio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo con il grande obiettivo elettorale di difendere la nazione dall’ingresso dei terroristi. Numerose le critiche per quest’altra iniziativa governativa che ha scatenato a dir poco un putiferio tra mancati rientri in terra americana e prigionieri aeroportuali.

Recita così l’intestazione dell’executive order : “PROTECTING THE NATION FROM FOREIGN TERRORIST ENTRY INTO THE UNITED STATES”. Una misura drastica che ha scatenato accese reazioni negli States – ai diretti interessati infuriati – e da quello che è stato definito dallo stesso Trump “caos europeo”. Numerose le reazioni di solidarietà agli esclusi da parte di diversi leader europei e dall’Onu che l’ha definito un “bando meschino e illegale”. In breve, la misura decisa consiste nel chiudere le frontiere alle persone provenienti da quei paesi a maggioranza musulmana e in qualche modo maggiormente “esposti” a una connessione con il Califfato.

Il neopresidente americano ha sottolineato in conferenza stampa che “numerosi individui nati all’estero sono stati condannati o implicati in reati connessi al terrorismo dopo l’11 settembre 2001” e precisando che si tratta di “cittadini stranieri entrati negli Stati Uniti dopo aver ricevuto il visto da visitatore, da studente, o di lavoro, o che sono entrati attraverso il programma di ammissione dei rifugiati”.

Trump ha operato – a seguire delle naturali reazioni che ha scatenato il suo ordine – una doppia linea di difesa da ciò che gli viene contestato: un sommario giudizio a priori nei confronti di tutti i musulmani; un conflitto d’interesse nell’escludere alcuni stati dal blocco dell’immigrazione negli USA. Il presidente statunitense ha infatti dichiarato: “non è un bando dei musulmani, come riferiscono falsamente i media” – e qui facciamo riferimento al primo capo d’accusa pubblica – e ha continuato affermando che “non riguarda la religione, ma il terrorismo e la sicurezza del nostro Paese. Ci sono oltre 40 paesi in tutto il mondo a maggioranza musulmana che non sono toccati da questo ordine” – e siamo al secondo punto di accusa per cui tutti i paesi con cui il tycoon è in affari, ed anche fortemente musulmani, non fanno parte della “blacklist”.

Cosa prevede l’ordine nello specifico?

L’ordine sospende per 120 giorni il sistema di ammissione dei rifugiati nel paese, lo U.S. Refugee Admissions Program (Usrap). Inoltre l’ordine limita per almeno 90 giorni l’ingresso di rifugiati e migranti provenienti da alcuni paesi di Medio Oriente e Nord Africa, a maggioranza musulmana: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. La misura decisa da Trump sospende anche il programma di accoglienza dei profughi siriani a tempo indeterminato.

Nella matassa del ordine di Trump, la priorità di accoglienza dei rifugiati viene data invece a coloro sono vittime di persecuzione religiosa nel proprio paese e che appartengono a minoranze religiose, situazione che di fatto metterebbe al primo posto i cristiani in Africa e in Oriente. Questo spostamento di tutele sarebbe stato giudicato dall’infuocata stampa americana come un provvedimento incostituzionale, e così per tutti coloro stanno sporgendo reclamo. Significativo il chiarimento – non proprio della prima ora – sulle eccezioni riguardo queste limitazioni: il divieto infatti verrebbe applicato a tutti gli immigrati (anche a coloro con doppia nazionalità, una delle quali appartenenti ai paesi citati), tranne ai possessori di green card. Una precisazione diffusa colpevolmente in ritardo che ha creato – ulteriori – momenti di panico nell’immediato.

E c’è anche il problema dei professionisti. Restano centinaia di migliaia le persone che alle attuali condizioni non possono fare rientro negli Stati Uniti: medici, ricercatori, dipendenti di piccole e grandi aziende – alcune anche strategiche per il paese – ma anche perseguitati all’estero per il proprio orientamento sessuale che si trovano sospesi nel vuoto legislativo. Sembra che verranno mosse molte cause al governo degli Stati Uniti per il mancato rispetto del quinto emendamento riguardante il diritto al giusto processo previsto nella Costituzione americana e venuto a mancare per questa esclusione forzata apparentemente senza motivazioni ragionevoli.

Daniele Monteleone


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