Dal muro al boicottaggio: Trump se la vede col Messico

Con l’ordine esecutivo, uno strumento di routine che oggi come non mai ci appare minaccioso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di dare seguito a quelle promesse elettorali di contrasto all’immigrazione clandestina proveniente dal Messico. Quella faccenda del muro criticata – e sottovalutata – da analisti ed esperti, giudicata inutile e dispendiosa, si sta concretizzando scatenando il battibecco a distanza tra il tycoon e il presidente messicano Enrique Peña Nieto oltre che una furibonda guerra commerciale.

Lo scorso 25 gennaio il presidente americano ha firmato sostanzialmente due importanti provvedimenti: l’avvio della progettazione del muro di confine col Messico e il taglio dei fondi destinati alle città più “accoglienti”, ovvero le sancturay cities, dove non è previsto il reato di immigrazione clandestina. Quella del confine messicano è una questione che va avanti da anni e che ha sempre diviso nettamente Democratici e Repubblicani, chi vuole regolarizzare i clandestini e chi vuole aumentare la sicurezza del confine. Più di tremila chilometri di frontiera, già molto sorvegliati – per quanto possibile – e tra i più trafficati d’America con oltre 300 milioni di viaggiatori regolari annuali, costituiscono l’opera incompiuta che Trump vuole consolidare e completare. Sono meno della metà i chilometri segnati da recensioni o da ostacoli anti-veicolo – e un terzo da barriere naturali come montagne e corsi d’acqua – e centinaia di migliaia di persone continuano a tentare l’accesso illegale negli States. Si è stimato, secondo uno studio del Congresso, che per un numero di circa 200 mila persone che attraversano illegalmente il confine, la metà riesce a non essere catturato.

Il numero degli irregolari che arrivano negli Stati Uniti dal confine meridionale è in costante diminuzione visto il miglioramento delle condizioni economiche in Messico. Inoltre quello che viene visto da Trump come un problema per l’occupazione e un danno all’economia americana, si scontra con i dati: oltre dieci milioni di irregolari vivono e lavorano in terra a stelle e strisce conducendo attività, consumando beni e pagando regolarmente le tasse. Come? In molti casi i controlli non mirano alla verifica del permesso di soggiorno ma piuttosto alla correttezza del contributo economico. Una deportazione di massa o l’esclusione totale dal mercato di tutti questi individui – pienamente inseriti – potrebbe rivelarsi un boomerang per l’economia americana.

Intanto la progettazione del muro – sostanzialmente l’intenzione di rinforzare le barriere – sta beneficiando dello spostamento di alcune risorse destinate alla Sicurezza nazionale proprio verso questa idea da decine di miliardi di dollari. Un’opera che viene considerata strategicamente inutile, ma che rappresenta una promessa, attualmente, con buone basi per essere considerata mantenuta.

Mexico will pay for the wall! ” dichiarava Trump durante la campagna elettorale e dello stesso avviso è the Donald presidente. A queste dichiarazioni che scaricano il peso del pagamento della costruzione muraria al governo messicano il presidente Nieto non è rimasto indifferente. La prima reazione è stata quella di annullare un incontro istituzionale tra i due presidenti previsto per il 31 gennaio e un successivo incontro ufficiale in febbraio. Un duello a colpi di tweet quello tra i due potenti nel giorno successivo alla firma degli ordini esecutivi: Trump da una parte ha avvertito “If Mexico is unwilling to pay for the badly needed wall, then it would be better to cancel the upcoming meeting.” Nieto dall’altra ha compostamente risposto “Esta mañana hemos informado a la Casa Blanca que no asistiré a la reunión de trabajo programada para el próximo martes.” Il presidente statunitense ha inoltre dichiarato che alternativamente sarà il suo Paese ad anticipare le spese per il muro, in previsione di una restituzione su cui ancora non è stata definita una precisa modalità. Intanto è al vaglio dell’amministrazione Trump la possibilità di applicare una tassazione del 20% sull’importazione di prodotti messicani, utile a finanziare la realizzazione del muro.

E non è tutto qui. Lo scontro a distanza tra il leader messicano e il tycoon – soprattutto per mezzo di campagne virtuali – è finito per diventare un litigio fatto di formule provocatorie. La campagna di “orgoglio messicano” sta conquistando sempre più persone a suon di hashtag e immagini inneggianti alle bellezze del Messico e al boicottaggio di prodotti e marchi statunitensi. In pochi giorni la reazione politica all’arroganza statunitense è divenuta un vero e proprio movimento atto a danneggiare ogni attività d’oltreconfine, basti citare gli slogan che stanno girando in terra messicana: AdiosStarbucks, AdiosCocaCola, No compres Made U.S.A. e altri di questo genere. Perfino il governo ha invitato i cittadini messicani a non fare il cosiddetto “shopping oltre frontiera”. Un bel danno alle attività in Texas, California e Arizona che ogni anno fatturano in totale miliardi di dollari. L’antiamericanismo sembra impazzare anche tra intellettuali e industriali – messicani e non – eppure è passata poco più di una settimana dall’insediamento di Donald Trump.

Daniele Monteleone


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