«Il bacio» di Klimt tra le rovine siriane

Di Ester Di Bona – Tammam Azzam nasce a Damasco nel 1980, in Siria, studia alla Facoltà di Belle Arti della città specializzandosi nella pittura ad olio. Si interessa successivamente anche al disegno digitale, dopo aver perso il suo studio nella città natale, donandogli una maggiore libertà d’espressione e varietà che lo arricchiranno artisticamente.

Nel 2008 entra nella Ayyam Gallery, organizzazione che dal 2006 si impegna a promuovere e preservare gli artisti siriani emergenti, aderendo al programma Shabab Ayyam Young Artists e dando il via in modo concreto alla sua carriera artistica.

Dopo una serie di mostre, nel 2013 le sue opere iniziano a girare nel web, diventando virali per la forza d’impatto che hanno sul pubblico, come nel caso di Freedom Graffiti (dalla sua collezione Syrian Museum) dove sulle mura di un palazzo di Damasco devastato dalla guerra un meraviglioso Bacio di Klimt si fa spazio tra le rovine.

Si tratta di una sovrapposizione digitale di immagini, un contrasto forte e voluto che richiama un desiderio quasi utopico di risveglio collettivo, aprendo gli occhi sulla bellezza, sull’amore e sull’arte che ci circonda. Tammam afferma di voler trasporre la sua opera nella realtà, ma non adesso: “Non è il momento di fare arte quando la gente muore in questi luoghi”.

In Syrian Museum tra i suoi lavori possiamo ritrovare Da Vinci, Goya, Matisse, Gogan e molti altri grandi maestri europei in uno scenario disarmante come quello siriano in questi anni di lotte, un parallelismo tra la bellezza creata dall’uomo e la distruzione di cui questo è capace. Attualmente Tammam Azzam vive a Dubai, dipingendo e portando le sue opere in tutto il mondo. Spera un giorno di poter tornare a Damasco, quando la situazione in medio oriente si sarà ristabilizzata.

Quella  proposta da Tammam è una rivoluzione artistica, che mira anche ad una consapevolezza esterna di chi guarda la Siria come un luogo lontano e non ne capisce il dolore e il disagio, ma soprattutto una denuncia verso un mondo folle che distrugge tutto ciò che ha davanti senza permetterti di vivere davvero.

Le sue armi sono queste: immagini che suggeriscono speranza all’umanità, che ti accarezzano dopo un brutto sogno, che ti scuotono urlando “cosa stai facendo?” o semplicemente che chiedono un po’ d’attenzione e comprensione. Si è così abituati alla parola morte che non suscita più alcuna reazione, forse con l’arte si può tornare esseri umani almeno per pochi istanti.