Gli impatti economici dei terremoti italiani (I parte)

Nella notte del 24 agosto 2016 un violento sciame sismico ha colpito le regioni del Centro Italia, in particolare i comuni di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e per ultimo quello di Norcia. Nelle ore successive, tutti i media e le testate giornalistiche facevano la cronaca di quella che da lì a poco sarebbe stata l’ennesima tragedia provocata da un terremoto in Italia.

Il calcolo dei danni non è ancora oggi, a quasi quattro mesi da quella calda giornata di fine estate, quantificabile con certezza, questo perché quando c’è un terremoto si possono solo stimare i danni economici che esso può provocare. Purtroppo, l’unica certezza riguarda il numero dei feriti e delle vittime, che nel caso del terremoto del centro Italia si attesta a quota 297 persone. Basta rivedere le immagini e i video di quelle ore per capire quanto ingenti siano stati i danni alle unità abitative e ai luoghi di lavoro. Ma il danno più grosso è quello anche più invisibile cioè quello della gente che si ritrova nuda, privata di tutti quegli elementi che formano l’essenza stessa dell’essere uomo come il lavoro, la proprietà, le proprie abitudini, i propri spazzi.

Di fronte all’ennesima emergenza sismica italiana, l’opinione pubblica si è subito mobilitata sostenendo i vari canali di aiuto. Per brevità ne citiamo solo tre: la Protezione Civile (attivazione del numero solidale 45500 e 4.370 uomini e donne coinvolti nelle operazioni di soccorso e in piena emergenza), la Caritas nazionale che grazie alla colletta nazionale del 18 settembre e altre iniziative ha raccolto 16 milioni di euro, la Croce Rossa Italiana. Parimenti, il 1° settembre il Governo italiano ha nominato Vasco Errani commissario straordinario alla ricostruzione delle aree colpite dal Terremoto del Centro Italia, e con i successivi Decreti Legge del 17 ottobre e dell’ 11 novembre 2016 ha consegnato all’Italia una sorta di vademecum per la ricostruzione. Ricostruzione il cui costo viene stimato di 4,5 miliardi di euro.  In particolare, col primo decreto legge viene istituito il “Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016” a cui è assegnata una dotazione iniziale di 200 milioni di euro per l’anno corrente (altri 100 milioni si recuperano con misure indirette). Inoltre, vengono previsti aiuti e slittamenti delle scadenze contributive e tributarie per le piccole e medie imprese. Le prime e seconde case che saranno indennizzate al 100% saranno quelle che insistono all’interno del cosiddetto “cratere” cioè l’area principale della ricostruzione composta da 60 comuni del centro Italia. Queste e altre disposizioni puntano ad una ricostruzione veloce ma vigilata: il pericolo, infatti, che riemerge con forza è quello della corruzione che, come è noto nel corso della storia sismica italiana, non sempre ha consentito una ricostruzione dignitosa, funzionale e più sicura in linea con le norme antisismiche esistenti. Per vigilare sugli appalti, occorre assegnare gli interventi con gare e affidarli solo alle imprese iscritte nelle “white list” delle singole prefetture. Viene, infine, istituita una governance per la ricostruzione composta dal commissario Errani, dai presidenti delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, supportati da quattro rispettivi uffici speciali. Strettissima rimane la collaborazione col capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio.

L’Italia per affrontare i numerosi costi ha chiesto l’intervento del Fondo Ue di solidarietà (FSUE), attraverso il quale la Commissione Europea esprime concretamente la solidarietà nei confronti degli Sati membri colpiti da disastri naturali, sulla base di un dossier della conta dei danni che deve essere fornito dal Paese richiedente entro 12 settimane dall’evento. È notizia del 30 novembre scorso l’erogazione di una prima tranche di aiuti dell’ammontare di 30 milioni di euro (importo più alto che possa essere versato a titolo di anticipo e che sarà ricevuto dall’Italia proprio in questi giorni), nonché la possibilità di modificare il regolamento relativo alla politica di coesione per il periodo 2014-2020 e di introdurre il finanziamento delle operazioni di ricostruzione, compreso il restauro del patrimonio culturale, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)[1].

I recenti terremoti, inoltre, ci forniscono un interessante spunto di riflessione sui loro costi per il paese Italia e ci interrogano su cosa si possa fare per ridurli prima, piuttosto che affrontarli in maniera massiccia subito dopo l’evento sismico.  Secondo il Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri, dal 1968 (terremoto del Belice) al 2012 (terremoto dell’Emilia) il costo totale dei terremoti in Italia è stato pari a 121.608 milioni di euro. Il terremoto più costoso è stato quello del 1980 in Irpinia in cui si sono spesi circa 52.000 milioni di euro. Per comprendere questi dati, è interessante leggere il commento di Lorenzo Salvia riportato in un articolo del 26 agosto 2016 sul “Corriere della Sera”: <<In Italia la terra trema per pochi secondi ma poi la ricostruzione può andare avanti pure per mezzo secolo. E la spesa continua a lievitare. I soldi stanziati per i sette grandi terremoti che hanno colpito l’Italia dal Belice in poi, facendo oltre 4 mila morti, ammontano a 121,6 miliardi di euro. Sono 35 volte quanto abbiamo pagato per la vecchia Imu sulla prima casa, per farsi un’idea. È la stessa cifra che l’Italia ha perso in termini di Pil, cioè di ricchezza prodotta, negli anni più neri della crisi, tra il 2007 e il 2013. I conti li ha fatti il Centro studi del consiglio nazionale ingegneri, sulla base di un documento del servizio bilancio della Camera. Ed è una stima parziale, perché dentro ci sono solo le «spese vive»: i soccorsi, la gestione dell’emergenza, la ricostruzione. Non ci sono i costi indiretti, come i mancati guadagni delle imprese che, per il terremoto, hanno fermato o rallentato la loro attività. Difficili da misurare ma tutt’altro che trascurabili.>>

Luciana Lotta

[1] http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-4095_it.htm