Il sacrificio di Roma sull’altare della credibilità del M5s

«Roma va avanti con Virginia Raggi sindaco del Movimento 5 Stelle». Così inizia l’articolo di Beppe Grillo sul blog a chiusura di una due giorni intensa, tesa, difficile, la più complessa da quando il Movimento Cinque Stelle è nato. La notizia di venerdì dell’arresto di Raffaele Marra, il fedelissimo del sindaco Virginia Raggi, aveva aperto uno squarcio considerevole nel mondo pentastellato e rimesso in discussione l’intera sopravvivenza della giunta capitolina. Non solo per le conseguenze politiche che una notizia del genere avrebbe potuto e dovuto comportare in seno a un’amministrazione. Piuttosto perché il fatto ha riaperto la resa dei conti tra le correnti interne al movimento, da mesi rimasti in sospeso in un fragile equilibrio.

In questi sette mesi di amministrazione, le tensioni non sono mai mancate e si sono via via allargate sempre di più. Le diatribe sulle nomine e sulle poltrone, i super stipendi, le dimissioni dei vari assessori, i silenzi imbarazzanti di Di Maio e dei vertici, le difficoltà su rifiuti e bilancio. E sullo sfondo, appunto, una lotta interna tra le correnti che ha fin da subito esautorato di qualsiasi potere il mini direttorio, voluto da Casaleggio e Grillo a supporto della Raggi nella gestione della città. Molte delle polemiche tra le diverse anime del M5s erano girate attorno al nome di Raffaele Marra. La sua storia politica vicina alla destra romana di Gianni Alemanno, di cui è stato dirigente e fidato collaboratore, aveva fatto storcere il naso a parecchi componenti cittadini e nazionali del movimento. Ma, la Raggi era riuscita in qualche modo a tener duro. Non a nominarlo come vice capogabinetto, come il sindaco avrebbe voluto, ma affidandogli comunque la direzione del personale. E non solo, perché al di là del ruolo, Marra ha sempre rappresentato un punto di riferimento per Virginia Raggi. Al punto che già nella fase burrascosa di settembre, il primo cittadino aveva posto la sua conferma come condizione essenziale per proseguire. E a suo tempo Beppe Grillo le aveva dato credito, soprassedendo ai malumori provenienti da più parti.

Adesso, però, il quadro è decisamente cambiato. E la stessa Virginia Raggi, nonostante le prime voci la descrivevano decisa a non mollare e pronta ad andare avanti persino da sola, sembra questa volta essersi piegata. Via quindi gli elementi discussi della sua giunta e della sua amministrazione. Via il vicesindaco Davide Frongia, che manterrà le deleghe allo sport, via Salvatore Romeo da capo segreteria del sindaco, e via soprattutto il fratello di Raffaele Marra, Renato, a capo della direzione turismo. Scelte, che secondo una certa ricostruzione, sarebbero state prese direttamente dalla Raggi e di seguito condivise da Grillo. Nel complesso, forse, è più corretto parlare di scelte forzate dai vertici del movimento per giustificare la continuità amministrativa. A convincere il primo cittadino sicuramente il fatto che la maggioranza consiliare non fosse compatta dietro di lei nel procedere nel salto nel buio come avvenuto in quel di Quarto. Troppo forti le pressioni giunte dai vertici del movimento. In ballo, d’altronde, c’è ben oltre che la semplice amministrazione capitolina.

E il pensiero va al valore dato in estate alla vittoria elettorale di Roma. Se il Movimento Cinque Stelle aveva mire governative, il banco di prova del Campidoglio rappresentava un passaggio scomodo da un lato, ma obbligato dall’altro. Ne era consapevole, e lo è ancora di più oggi, lo stesso Beppe Grillo, che passata la rabbia iniziale di voler toglier il simbolo alla gestione Raggi, è riuscito a rimettere in carreggiata la baracca. Almeno per ora. Anche in questo caso, infatti, il comico genovese ha dovuto fungere da pompiere, gettando acqua sul fuoco sulle richieste degli ortodossi del movimento, inquadrabili nei parlamentari Fico, Taverna e Lombardi, di azzerare tutto e salvare il salvabile, ossia il marchio. Ma, farlo a costo dell’amministrazione di Roma sarebbe valso come un clamoroso autogol. Come a dire, ammettere dopo soli sette mesi la propria incapacità ad amministrare realtà di una certa importanza. Quest’ultima, a dir il vero, ben più di un semplice pregiudizio.

Mario Montalbano


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