Water is life… Uniti con Standing Rock

Mni Wiconi, water is life”: questo è il motto che già da sette mesi si sente cantare nei campi di protesta in Nord Dakota. A nord degli Stati Uniti, c’è una nazione densa di nativi d’America i quali prima di chiunque altro hanno abitato quelle terre. Da aprile centinaia di persone protestano contro la costruzione del Dakota Access Pipeline (Dapl), un oleodotto funzionale al trasporto del petrolio, che costeggia la riserva Standing Rock , sito sacro per la tribù Sioux.

Dopo mesi di manifestazioni e proteste ecco che il 4 dicembre avviene la svolta: l’amministrazione Obama ha bloccato i lavori! Ma andiamo con ordine.

Per capire meglio perché oggi un gruppo di persone lotta al fine di salvaguardare le proprie terre, occorre fare un salto indietro nel tempo.

La tribù dei Sioux è una comunità residente in queste terre da secoli. Essi, proprio perché le loro origini in questi territori superano di gran lunga l’arrivo degli europei, vivono di culture e tradizioni fortemente legate al loro passato. Quando nel 1492, i primi europei misero piede nel continente americano trovarono popoli che vi abitavano da secoli. Essi, distribuiti in tutto il territorio nordamericano in circa 250 tribù, videro nel tempo calpestati tutti i loro averi, in termini di terre, prima colonizzati e poi relegati nelle riserve volte ad accogliere i nativi respinti dall’invasione dei bianchi. Si tratta di un vasto numero di gruppi etnici che per secoli ha lottato per la propria sopravvivenza e per la conservazione delle proprie tradizioni. Tra queste una delle più grandi è quella dei Sioux, gruppo dell’America settentrionale che si è espanso in diverse famiglie. Nonostante i nativi si siano negli anni integrati con le comunità locali dell’America settentrionale, nelle riserve si cercano di mantenere vive, seppur tra grandi difficoltà, le tradizioni e i riti sacri del passato. Il contatto con la natura in questo contesto svolge un ruolo fondamentale. Per la loro costante repressione, negli anni si sono attivati gruppi di ecologisti e di associazioni no profit per la salvaguardia ambientale dei loro territori.

Capiamo che questo conflitto non può che aggravare la lunga e brutale storia dei nativi d’America, da sempre vittime della sopraffazione legata agli interessi economici. Oggi, nonostante molte lotte siano state effettuate per rivendicare la loro effettiva sovranità nel territorio americano, rischiano di nuovo di perdere il loro patrimonio culturale e, per di più, le loro terre. La minaccia arriva dalla Energy Transfer Partners, intenzionata a realizzare un progetto per trasportare il greggio (petrolio non ancora raffinato) dai territori di estrazione situati a nord degli Stati Uniti in tutto il territorio statunitense. In quelle zone infatti si trova la Bakken Formation, uno dei più grandi depositi di petrolio e gas naturali degli Stati Uniti (guarda la mappa è http://geology.com/articles/bakken-formation.shtml). Dal 2000 le nuove tecnologie hanno trasformato la Bakken in un prolifero produttore, le trivellazioni di olio hanno avuto un’impennata ed il Nord Dakota è arrivato a raggiungere livelli record nella produzione di greggio, al secondo posto negli Usa dopo il Texas. Essendo la produzione notevolmente aumentata, il trasporto tranviario, utilizzato fino a quel momento, non risultava più sufficiente, pertanto le compagnie petrolifere hanno preferito procedere alla costruzione di un oleodotto. Nel 2014 è stato approvato il progetto per la costruzione di un oleodotto, lungo 1880 km, che a partire dal campo di estrazione in Nord Dakota, attraverserà quattro Stati per poi terminare a Illinois, sede di una raffineria dove il greggio verrà convertito in carburante usufruibile (vedi percorso è The Conflicts Along 1,172 Miles of the Dakota Access Pipeline). In particolare l’oleodotto si estenderebbe sotto una parte del Fiume Missouri, esclusiva fonte d’acqua della tribù, passando a pochi chilometri dalla Riserva di Standing Rock nel North Dakota, sito sacro per la tribù Sioux.

La protesta contro la costruzione dell’oleodotto, ad un costo di tre miliardi di dollari, nasce dalla rabbia dei nativi d’America per l’usurpazione che le big corporations stanno mettendo in atto nei confronti delle loro terre sacre. La resistenza, iniziata con un piccolo gruppo di preghiera dei Sioux, ha visto protagonisti poi diversi rappresentanti di altre tribù di nativi, ambientalisti, ecologisti, star del cinema e infine anche veterani pronti a proteggere i manifestanti in caso di scontri con le forze dell’ordine. Questa manifestazione ha risvegliato la solidarietà di centinaia di attivisti che la considerano una battaglia comune.

I motivi della protesta risiedono nel rischio che le falde acquifere del fiume Missouri possano essere contaminate da una perdita o rottura dell’oleodotto. Lo sversamento delle sostanze potrebbe causare dei danni gravissimi, trattandosi dell’unica fonte d’acqua della tribù. In tal senso potrebbe rappresentare una violazione del Clean Water Act che stabilisce le misure di regolazione dell’inquinamento delle acque. Per questo i manifestanti preferiscono essere chiamati water protectors. Il tutto è aggravato dalla possibile perdita del patrimonio culturale legato a quei siti. Gli scavi hanno infatti dissotterrato delle sepolture e dei resti sacri del luogo.

Il ricorso presentato dai Sioux e dai loro legali lamenta anche il mancato consulto prima che la costruzione dell’oleodotto venisse approvata. L’articolo 15 della Convenzione ILO 169 su Popoli indigeni e tribali del 1989, prevede che: Nel caso in cui lo Stato mantiene la proprietà di risorse del sottosuolo, o i diritti ad altre risorse di cui sono dotate le terre, i Governi devono stabilire procedure di consultazione dei popoli interessati per determinare, prima d’intraprendere o d’autorizzare ogni programma di ricerca o di sfruttamento delle risorse delle loro terre, se e fino a che punto gli interessi di questi popoli ne sono minacciati.

(http://www.gfbv.it/3dossier/diritto/ilo169-conv-it.html)

Le tribù in questo caso non sono state consultate prima che i lavori cominciassero e non sono neanche state incluse come partner per la sopravvivenza del patrimonio storico e culturale del territorio. La lotta ha attirato l’attenzione di gruppi ambientalisti contro il cambiamento climatico che hanno appoggiato la causa dei Sioux, affiancandoli nella protesta. Essi lottano al fine di impedire l’estrazione del greggio per evitare emissioni di carbonio. A distanza di qualche mese la protesta non riguarda più solo l’oleodotto, ma ingloba una causa ancora più grande: lottare per un’economia sostenibile e senza combustibili fossili. Ecco che questa battaglia è diventata la comunione di più istanze –  azione climatica, giustizia sociale, sovranità dei nativi d’America – strettamente connesse tra di loro.

Le proteste dei waters protector hanno portato a reazioni aggressive da parte delle forze armate che in più di una occasione hanno usato violenza gratuita nei confronti di manifestanti non armati. La resistenza pacifica, i canti e i momenti di preghiera sono stati interrotti dalla militarizzazione e dalla criminalizzazione. Gas lacrimogeni, proiettili di gomma, spray al peperoncino, sono alcuni degli strumenti utilizzati per disperdere la folla e per allontanare gli attivisti dai canali di accesso ai cantieri. La polizia ha anche utilizzato cannoni d’acqua gelida che hanno causato chiari segni di ipotermia in luoghi in cui le temperature sono da tempo scese sotto lo zero. Prova di quanto le inumane misure di sicurezza messe in atto dalle forze armate per l’applicazione della legge mirino a salvaguardare gli interessi commerciali privati e a preservare la dominazione delle corporazioni sugli individui, generando poi fenomeni di cruda violenza e atrocità; diversi i video che lo testimoniano:

(https://www.facebook.com/unicornriot.ninja/videos/368179073516320/

https://www.facebook.com/IndigenousPeopleOfAmerica/videos/1360122837351599/).  

Gli arresti sono stati numerosi, circa 140, ed è su molti di loro che si fa sentire la voce di Maina Kiai, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica, che denuncia  atti di violenza e aggressione nei confronti dei manifestanti detenuti dalle forze dell’ordine. Anche Amnesty International, dopo aver mandato quattro delegazioni di osservatori per monitorare il trattamento dei manifestanti, condanna l’eccessivo militarismo da parte delle forze armate in risposta al diritto umano di manifestare pacificamente. In una lettera scrivono: “It is the legitimate right of people to peacefully express their opinion,” the letter reads. “People here just want to stand up for the rights of Indigenous people and protect their natural resources. These people should not be treated like the enemy.” (http://www.amnestyusa.org/news/press-releases/amnesty-international-usa-to-observe-north-dakota-pipeline-protests)

Domenica 4 dicembre la United States Army Corps of Engineers, l’agenzia federale che si occupa dell’approvazione degli oleodotti tra più Stati, ha bloccato i lavori in quell’area. Una bella vittoria che lascia però qualche perplessità. La decisione arriva infatti il giorno prima di un preannunciato sgombero dei campi. Per l’occasione si erano mobilitati anche 2000 veterani, prevedendo scontri violenti con le forze dell’ordine. L’iniziativa è stata chiamata Veterans Stand for Standing Rock. Molti manifestanti sospettano che questa decisione sia stato un palliativo, un astuto stratagemma affinché il campo venisse abbandonato dai manifestanti in modo pacifico evitando scontri violenti.

Anche nelle migliori delle ipotesi pensabili, lo spettro della nuova amministrazione accresce le preoccupazioni. Sulla questione si pronuncerà anche Trump: maggiormente interessato alle cause economiche che a quelle umane, il neoeletto Presidente ha più volte espresso il suo sostegno per i progetti di infrastrutture energetiche. Non stupirebbe quindi un nuovo cambio di rotta, considerati anche i suoi numerosi investimenti nella compagnia di costruzione, la quale potrebbe presentare azioni legali rovesciando lo stop ai lavori. La battaglia non è ancora conclusa.

La Dalp incarna il retaggio storico e culturale dei nativi d’America, come i loro sforzi di preservare la loro sovranità non siano terminati; come la storia passata e i soprusi ricevuti non abbiamo mutato la loro rilevanza nel territorio. Popolo intriso di tradizione e cultura passata, è soggetto oggi, come ieri,  ad atti di sopraffazione nel silenzio del mondo mediatico. Questo è il chiaro esempio di come una minoranza dominante abbia nel tempo esercitato una politica di dominio su una maggioranza sottostante. C’è ancora molto da fare in questa lotta che vede contrapposti la massimizzazione del profitto e i diritti umani, il predominio colonizzatore e la sopravvivenza di un popolo, diventato ormai una minoranza vulnerabile, la prevaricazione contro l’intenzione di preservare le proprie origini.

Save the water … cause it is life!

Martina Costa


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