Il politically correct del Trump presidente

Sono quasi le tre del mattino in America, le nove in Italia, quando Donald Trump tiene il victory speech, il discorso da vincitore come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Sul viso il sorriso stampato di chi ha la consapevolezza di aver compiuto un’impresa e di averla fatta realmente solo contro tutto e tutti. Chi si aspettava, però, un Trump in veste di “show man”è rimasto deluso.

Accolto dal coro “Usa Usa Usa” da una platea in totale visibilio, Trump si è mostrato come mai aveva fatto finora nel corso della campagna elettorale. In una parola sola, istituzionale. O meglio ancora politically correct. Termini del tutto sconosciuti al paradigma comportamentale di The Donald. Prima i ringraziamenti, «davvero sinceri» ha voluto ribadire il tycoon, a Hillary Clinton e alla sua famiglia, meritevoli di aver lottato fino all’ultimo in tutta la corsa alla Casa Bianca. E poi, proprio come si addice alle vesti di un presidente, ecco il discorso rivolto a tutti gli americani. «Mi impegnerò per ogni cittadino del nostro paese. Sarò il presidente di tutti gli americani. E questo è molto importante per me», così Trump ha voluto lanciare il proprio messaggio di unità anche verso chi non lo ha votato, nell’intento di indicare l’unica strada percorribile.

«Ricostruire la nostra nazione e rinnovare il sogno americano». Questa la mission che il nuovo presidente americano ha indicato nell’immediato futuro. Una necessità, visti i disagi economici e le tensioni sociali tra bianchi e neri esplosi negli ultimi mesi. Per farlo chiede aiuto a tutti. Repubblicani e democratici. Non un caso che citi entrambi. Lui che si è candidato tra i repubblicani, ma che in passato è stato simpatizzante democratico.  Con il suo di movimento Trump è riuscito ad attrarre gente dalle due fazioni, inculcando in seno ai rispettivi vertici dei partiti un senso di preoccupante immobilismo e incapacità di reazione. In particolare i repubblicani dovranno porsi ben più di un interrogativo. Loro malgrado si sono trovati vincenti, conquistando entrambe le Camere del Congresso, senza volerlo realmente in tutti i loro effettivi. Un paradosso enorme. E adesso, il tradizionalismo conservatore dovrà giocoforza far i conti con un intero movimento, quello di Trump.

Un movimento a sé stante, lontano dai modelli alla Reagan, alla Romney e alla Bush. Trump è diventato il simbolo di rinascita di una porzione sempre più crescente di americani delusi e arrabbiati dal contesto economico politico e sociale. E soprattutto di chi viene dalle periferie, dai centri industriali del continente, e dalle zone rurali. Tutti quelli insomma che si sono sentiti “dimenticati” a causa dai ritmi infernali della globalizzazione.

Proprio a loro Trump ha voluto rivolgersi nel suo speech. «Ogni americano avrà l’opportunità di sviluppare il proprio potenziale. Gli uomini e le donne dimenticati di questo paese non saranno più dimenticati», ha ribadito, parlando volutamente di chi ha rappresentato il baluardo della sua vittoria. L’America della rabbia e della frustrazione, che lo ha insignito di un compito arduo. “Make America great again”, rendere l’America di nuovo grande. Possibilmente mantenendo le vesti che appartengono al presidente più importante del mondo.

Mario Montalbano


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