Gli effetti economici “dell’impatto Trump”

Se in un primo momento, l’elezione del miliardario Donald Trump ha determinato per i mercati e le borse di tutto il mondo un forte shock, in un secondo tempo, tale shock sembra sia stato assorbito. Soltanto i mercati finanziari russi sono stati capaci di resistere sin dall’inizio all’impatto dell’elezione americana.

Anzi, in Russia, si è verificato l’aumento del valore dei titoli delle società, facendo registrare una crescita complessiva del 2,2%. Questa reazione positiva dei mercati russi, potrebbe avere alla base la convinzione per gli investitori di una futura normalizzazione delle relazioni con Mosca ed una possibile abolizione delle sanzioni. Dopo lo shock iniziale, quindi, il bilancio è positivo: Wall Street con il Dow Jones ed il Nasdaq ha chiuso la seduta post elezione rispettivamente a +1,39% e a +1,11%. Francoforte ha chiuso a +1,56%, seguita da Parigi a +1,49% e Londra in progresso dell’1%. Il listino spagnolo e quello italiano, invece, hanno chiuso rispettivamente a -0,4 e -0,1%. Questo probabilmente perché hanno influito più le debolezze strutturali che i timori per le conseguenze delle scelte economiche annunciate dal magnate americano. A Piazza Affari, infatti, hanno perso terreno soprattutto i titoli bancari.

L’elezione di Trump ha provocato, inoltre, un’accelerazione dell’inflazione attesa, trascinando in basso i bond sia europei che americani. Quelli italiani in particolare, emessi dal Tesoro, hanno subito un deterioramento più marcato, dovuto probabilmente anche alle incertezze sull’esito del referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Gli investitori starebbero, quindi scontando un’accelerazione dell’inflazione dato il programma economico propagandistico di Trump. Esso prevede, infatti, una maggiore spesa per infrastrutture e tagli delle tasse, misure che hanno effetti inflazionistici sull’economia americana (già in sostanziale piena occupazione) e non solo.

“L’impatto Trump” ha avuto effetto anche sui mercati obbligazionari. Il differenziale (spread) tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi ha superato i 160 punti base rivedendo i massimi dal referendum sulla Brexit di giugno. La fiammata iniziale si è però ridimensionata con il passare delle ore e in chiusura il valore si è assestato a 156 punti base contro i 153 della chiusura di martedì, con il tasso del decennale italiano all’1,74% sul mercato contro l’1,72% di martedì. Sembrerebbe che allora si siano rivelate errate le previsioni degli analisti finanziari su cosa sarebbe accaduto sui mercati nel caso (poco probabile), che a vincere fosse il candidato repubblicano. Crolli azionari e fuga dei capitali verso i beni-rifugio, sintomi di una recessione mondiale, che erano le profezie più accreditate, non si sono verificate.

Diverso invece è ciò che è successo al “pesos” messicano, “termometro” dell’andamento della campagna elettorale. Esso è affondato di quasi il 13%, il calo maggiore da 19 anni. Il dollaro vale ora 19,7 pesos, contro i 18,3 di martedì. In Messico, “l’impatto Trump,” ha colpito più di ogni altro luogo a causa soprattutto della sua intenzione di volere costruire un muro al confine con il Messico. Interessante notare come si siano rivelate errate anche le previsioni che avrebbero visto, con la vittoria di Trump, il boom dell’oro. Tra queste previsioni, ve n’è una di Hsbc, che arrivò a paventare un rialzo delle quotazioni dell’oro a 1.575 dollari entro la fine dell’anno. Ma questa non sembra la direzione dei mercati. Il prezzo del bene-rifugio per eccellenza è sceso, infatti, sotto i 1.260 dollari l’oncia. In realtà, la vittoria di Donald Trump sembra stia stimolando il prezzo di un altro tipo di metallo ed anche stavolta si tratta di un andamento imprevisto. È il rame, che adesso viene venduto sui mercati a 5.340 dollari per tonnellata, quando il giorno delle elezioni aveva chiuso a 5.040 dollari. La crescita è stata del 6%, ma di quasi il 16%, se si guarda ai minimi toccati il 25 ottobre scorso.

Questo è ciò che nel brevissimo periodo si è verificato e si sta verificando nel post Trump’s election nel mondo. Per quanto riguarda strettamente il territorio Americano, sembrerebbe che nel breve periodo Trump non porterà gli Stati Uniti in recessione anzi potrebbe perfino stimolare l’economia. Più difficile appare l’analisi per ciò che riguarda i probabili effetti di lungo periodo. Il miliardario Warren Buffett (il terzo uomo più ricco del mondo) e l’economista e premio Nobel Paul Krugman, sembrano avere opinioni divergenti in merito. Per il primo accordandosi con le posizioni del neo- presidente, “il mercato azionario risalirà nei prossimi dieci, venti e trent’anni…” ha detto in un’intervista alla Cnn, aggiungendo che il mercato “…lo avrebbe fatto con Hillary Clinton e lo farà con Donald Trump” e che “l’economia di mercato funziona, ma non per tutti” e quindi una delle cause della vittoria del magnate è proprio la crescente disparità tra i redditi. Invece, secondo Krugman, studioso di economia reale, gli effetti di “The Donald” alla Casa Bianca saranno “tragici, forse catastrofici”. Questo perché, con le politiche protezionistiche di Trump, l’America esporterà di meno, ma importerà anche meno, “e l’effetto complessivo sui posti di lavoro sarà nullo”. Secondo il premio Nobel, la presidenza Trump porterà ad un abbassamento della qualità del personale politico e le sue politiche di incentivo andranno a beneficio delle grandi imprese e dei ricchi, piuttosto che aiutare i lavoratori americani che lo hanno votato in massa. Tutto questo porterà, con ogni probabilità, nel dimenticatoio la proposta di Obama di aumentare le tasse per i redditi più elevati. Bisogna avere quindi un cauto ottimismo perché “la promessa di Trump di raggiungere una crescita del Pil del 4% è solo un sogno” perché “ci potrà essere un singolo anno in cui ciò avviene, ma la matematica è semplicemente fantasiosa”.

Ugo Lombardo