Da Est a Ovest, l’euroscetticismo che avanza fa paura

In Moldavia e Bulgaria vincono gli euroscettici. Rispettivamente hanno conquistato le presidenze dei due stati Igor Dodon del Partito dei Socialisti moldavo e Rumen Radev il candidato principale dell’opposizione nel Partito Socialista bulgaro. Uno spostamento netto di quell’area est-europea che adesso sarebbe più opportuno chiamare “Russia occidentale”. Ma non finisce qui: c’è un intero continente che soffre la politica comunitaria europea e che presto avrà l’occasione di esprimersi alle urne indirettamente, certo, ma in maniera significativa sulle dinamiche che muoveranno le decisioni degli Stati membri all’interno della politica sovranazionale.

La Moldavia è uno degli stati europei più poveri – ma non fa parte dell’Unione Europea – e negli ultimi decenni ha percorso la via di avvicinamento alla grande mamma Europa. Un fatto che ha inevitabilmente causato frizioni con Mosca. Le sanzioni, da una parte e dall’altra – quelle europee per minacciare la Russia e, nell’altro verso, quelle russe per scoraggiare gli stati dell’Europa orientale a negoziare con l’UE – hanno causato un malcontento più acceso nei confronti della “madre stellata” che dello Zar. Due anni fa la Moldavia ha firmato un accordo commerciale con l’Unione Europea. Immediata era stata la risposta della Russia che impose dei limiti alle sue importazioni di prodotti agricoli. Il partito di Dodon – secondo quanto dichiarato – vorrebbe sostanzialmente eliminare l’accordo con l’UE favorendo l’inserimento in un’altra grande sfera commerciale, l’Unione doganale eurasiatica. Dodon, vista la sua altissima considerazione di Vladimir Putin, ha fatto intendere di volerne seguire le orme “riportando l’ordine nel suo paese e difendendo i valori tradizionali”. Sembra che la consistente minoranza a lingua russa (un quarto della popolazione) abbia avuto la meglio sulla nuova minoranza, quella degli europeisti.

In Bulgaria vince un altro simpatizzante – eufemisticamente – per Putin e non solo: si prospettano le (sicure) dimissioni del governo a causa della risicata, se non mancante, maggioranza in parlamento per il premier Borisov. La situazione qui è diversa: non è una forma presidenziale ma parlamentare, fatto che rende di fatto meno potente la figura del Capo di stato. Una questione di poco conto se consideriamo che il neo presidente Radev ha espresso chiaramente di volere un nuovo governo amico della Russia, al contrario di quello dimissionario di centrodestra, favorevole alla cooperazione europea. Sembra che la futura leadership in Bulgaria, paese membro dal 2007, preferirà l’influenza russa, tenuto conto che oltre a essere uno dei paesi dell’Europa più vicini all’ex Unione Sovietica, la sua popolazione si considera parte di una comunità russa. Una storia, anche questa, che parla di un vasto territorio che torna a tutti gli effetti sotto l’influenza di Mosca.

Il giardino europeo che la Russia ha visto lentamente sfuggirle di mano in questi ultimi trent’anni si sta confermando attivo in un movimento – un ritorno – ideologico verso Est. Uno spostamento che mette in imbarazzo un’Europa dapprima capace di attirare a sé tanti nuovi stati e adesso portatrice di difficoltà e insofferenza, partendo dal sentimento più culturalmente radicato dell’amore per le proprie origini alla questione più recente dell’Immigrazione.

E in Occidente? Mentre in Italia voteremo per l’innocentissimo referendum costituzionale, il 4 Dicembre in Austria si ripeteranno le consultazioni elettorali dopo i ballottaggi annullati del 22 Maggio. In primavera le gravi irregolarità denunciate dall’allora perdente Norbert Hofer del Partito della Libertà (FPO) furono considerate determinanti dalla Corte Costituzionale austriaca e tali da rendere necessario il ritorno alle urne. Dal primo ballottaggio era uscito vincente il candidato indipendente dei Verdi Alexander Van der Bellen e la sua vittoria aveva rappresentato una ventata d’aria fresca in un’Europa in crisi d’identità. Tutto da rifare.

Il 15 Marzo 2017 si voterà nei Paesi Bassi ed anche qui la tendenza sembra essere quella “secessionista”. Qui, secondo i sondaggi, Geert Wilders leader del Partito per la Libertà (PVV), il movimento di destra, xenofobo ed euroscettico ha racimolato percentuali di consenso vicine a quelle del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD), il partito di centrodestra ed europeista che è attualmente al governo con Mark Rutte. In questo Paese la diffidenza per l’UE è più diffusa rispetto che negli altri stati membri, e forte è la presenza di problematiche quali l’antisemitismo e l’islamofobia. Anche se la componente antieuropeista resta minoritaria, è considerevole il fenomeno di crescita che sta vivendo il PVV nei Paesi Bassi, possibile ennesima frontiera dell’euroscetticismo a conquistare la maggioranza dell’elettorato.

Francia e Germania a seguire. Per quanto riguarda la prima il 23 Aprile avranno luogo le consultazioni per il primo turno delle elezioni nazionali. Marine Le Pen in sella al suo partito di estrema destra Front National (FN) corre verso un sicuro ballottaggio al secondo turno, e molto probabilmente contro i Repubblicani di Nicolas Sarkozy. L’attuale premier in carica François Hollande è in netta difficoltà nei sondaggi ed è dato come improbabile candidato del centrosinistra francese. Sembra che l’elettorato del Front National non sia così anziano come si può immaginare. Una recente statistica dell’Institut Français d’Opinion Publique (IFOP) ha evidenziato che circa un terzo dei giovani francesi dai 18 ai 25 anni di età si è dichiarato disposto a votare Le Pen. Più contenuto il fronte populista ed euroscettico in Germania dove difficilmente si attesterà un trionfo di Alternativa per la Germania (AFD) della seppur travolgente Frauke Petry nel Settembre 2017.

Daniele Monteleone


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