L’illusione dei sondaggi rotta dalla realtà del voto

L’esito dell’election day statunitense ha riacceso il dibattito sul ruolo e sull’imparzialità dei sondaggi. Già nei mesi scorsi, soprattutto, il post Brexit aveva sollevato la medesima questione. Non che i sondaggi possano essere numericamente precisi. Impossibile che lo siano. A precisa domanda, gli intervistati potrebbero anche non rispondere o farlo in maniera del tutto differente dalla reale intenzione di voto. Infatti in tutte le previsioni è necessario tenere conto del margine di errore dei vari risultati. Gli ultimi eventi mondiali però, sembrano aver evidenziato dei limiti nell’analisi dei dati.

A bocce ferme, tanto nel referendum britannico di giugno quanto nelle elezioni americane, gli analisti del voto hanno constatato il “peso” di fasce di elettori prese poco in considerazione alla vigilia. Un punto in comune tra i due eventi che non può esser etichettato come un caso. Solo a risultato confermato, ci si è accorti dell’importanza del voto delle periferie e di chi vive lontano dagli occhi dei riflettori. Da questi, senza dubbio, è giunto il maggior contributo per gli esiti eccezionali poi puntualmente verificatisi. Un sintomo di come i sondaggi si fermino alla consultazione solo di determinati livelli della società civile.

Nei giorni precedenti al referendum sulla fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, si è dato spazio, coerentemente con le abitudini dei nostri tempi, ai pensieri e alle preoccupazioni dei cittadini di Londra e delle grandi città. Una scelta, giornalisticamente parlando, per certi versi necessaria, utile a sintetizzare le posizioni della popolazione britannica di fronte a un evento atteso da anni. E al contempo, frutto di una considerazione, se vogliamo banale, che vuole le grandi città essere lo specchio elettorale del paese. Le indicazioni tratte dagli intervistati lasciavano trasparire in effetti quell’incertezza delineatasi all’inizio dello spoglio, seppur con una leggera preferenza per il Remain. Ma, ecco che con il giungere degli esiti dei seggi del Regno Unito, ogni pronostico e valutazione della vigilia viene ribaltata. Si farà un gran parlare del voto degli anziani e dei giovani. La realtà dei fatti vuole che la Brexit fosse stata votata soprattutto dalle zone più periferiche, quelle più isolate e lontane dalle logiche finanziarie della City of London o dalle attrattive per gli studenti Erasmus.

Dinamiche del tutto simili si sono verificate anche nel caso delle elezioni americane. Se non addirittura più clamorose. Perché se tra la Brexit o il Remain il distacco era assai limitato, per non dire irrisorio, negli Stati Uniti d’America il voto “sondaggista” aveva investito da tempo il suo presidente, ossia Hillary Clinton. Due o tre punti di vantaggio nelle settimane di difficoltà per lo scandalo delle email. Perfino sei o sette nei giorni successivi ai dibattiti pubblici con l’avversario Trump, su cui nel frattempo la stampa, naturalmente, si concentrava per le sue continue gaffe su donne e non solo. La Clinton veniva indicata come favorita e potenziale vincitrice senza se e senza ma. A sensazione più una presa di posizione che una valutazione concreta della situazione da parte dei sondaggisti e in generale della stampa States. Impressione che è diventata certezza nel momento in cui, nella notte italiana dello spoglio, cominciavano a emergere gli esiti dei vari Stati, in particolare di quelli in bilico. Tutti andati in favore di Trump. Altro che Hillary presidente. Le valutazioni della vigilia rivoltate come un calzino, in modo più netto di quanto non dicano i numeri.

A pesare, anche qui, il voto degli arrabbiati e dei delusi, di chi proveniva dagli Stati più interni. Zone rurali sì, ma anche quelle che un tempo erano considerate motore dell’industria americana, adesso oggetto di una delocalizzazione figlia dei tempi e anni della globalizzazione. Gente che nessuno aveva pensato di interpellare e a cui dar spazio. Se non adesso a risultato ottenuto, con buona pace dei sondaggisti.

Mario Montalbano


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