Perché ad Aleppo si muore nel silenzio del mondo

Di Antinea Pasta – «In massimo due mesi, due mesi e mezzo, la città di Aleppo potrebbe essere totalmente distrutta. E migliaia di persone, non terroristi, saranno morte mentre festeggeremo il Natale». Queste sono le parole di Staffan De Misturare, l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, a seguito del fallimento nei negoziati di pace tra le parti in conflitto e ha aggiunto che la battaglia per la conquista per la città potrebbe significare «lenti e logoranti combattimenti casa per casa che potrebbero durare mesi, se non anni».  È proprio ad Aleppo che le la contrapposizione tra i belligeranti si è espressa nella sua massima spietatezza con un terribile carico di morti e di distruzione.

L’antica Aleppo è la seconda città siriana dopo la capitale, Damasco, e la sua conquista è fondamentale sia dal punto di vista strategico che simbolico. Allo stato attuale i quartieri ovest della città sono controllati dalle forze del regime di Assad, i quartieri a est, invece, sono nelle mani dei ribelli. Le forze di opposizione sono unite sotto il nome Jaish al fatah, che raccoglie un composito fronte: dalle fazioni più moderate a quelle jihadiste, sostenute dall’Arabia Saudita e dal Qatar, tra le quali spicca l’ex Al Nusra. Quest’ultima è stata sapientemente ripulita dagli americani e dai sauditi dallo scomodo nome che lo legava ad Al Qaeda che sperano di utilizzarla in chiave anti – Teheran.

Assad e le forze alleate che lo sostengono – russi, iraniani ed Hezbollah – puntano a riconquistare Aleppo per due ragioni fondamentali. La prima di ordine strategico è di circondare i ribelli che occupano la provincia di Idlib, a ovest e a sud di Aleppo interrompendo la linea dei rifornimenti. La seconda ragione è che riporre la città sotto il suo controllo restituirebbe ad Assad una posizione di forza in vista dei futuri negoziati internazionali.

I bombardamenti per riprendere la città, condotti dall’esercito di Assad e dalle forze alleate sono stati talmente violenti da far parlare l’Onu di “crimini di guerra”. Solo qualche settimana fa, in 48 ore, sono stati uccisi più di 300 civili dei circa 275mila rimasti intrappolati nella parte della città sotto assedio e 90 di questi erano bambini. L’utilizzo di bombe chiamate bunker buster, che hanno la capacità di penetrare fino al terreno, hanno colpito i ricoveri dei rifugiati e stanno distruggendo tutto quello che rimaneva del tessuto urbano, degli ospedali e delle infrastrutture che permettono la sopravvivenza dei cittadini di Aleppo. L’obiettivo è impedire di resistere all’assedio.

La Russia è decisa a non fare passi indietro, tanto da porre il veto in Consiglio di Sicurezza contro la risoluzione proposta dalla Francia per un immediato cessate il fuoco. Perché probabilmente agli occhi del Presidente Putin il cessate il fuoco sarà consequenziale solo alla cacciata dei ribelli da Aleppo. Dal quel momento al tavolo delle trattative sarà protagonista nel ridisegnare i confini siriani garantendosi il tanto agognato accesso alla fascia costiera e dunque al mare. Tale progetto non deve poi dispiacere molto ad Ankara che punta invece a creare un’area di influenza nell’area di Aleppo, Idilib e Latakia (in cui è presente la base russa di Hmeimim, che dopo la firma del trattato con Assad rimarrà permanente) a chiudere definitivamente ogni possibilità ai curdi di creare una regione autonoma.

Al di là degli equilibri regionali, quando ci chiediamo perché ad Aleppo si continua a morire non dobbiamo dimenticare il clima di guerra fredda che si respira nuovamente tra gli Usa e la Russia. La Siria è solo uno degli scenari in cui questo confronto/scontro si consuma. Sul questo versante entrambe le potenze mondiali provano a manovrare gli attori locali che spesso, però, sfuggono al loro controllo e a farne le spese è la popolazione siriana.

Da ieri mattina si sono fermati i raid aerei russi sulla zona di Aleppo poiché da domani, dalle 8 del mattino alle 16, sarà introdotta una pausa umanitaria di 8 ore per permettere il passaggio degli aiuti umanitari, dei cittadini e per evacuazione di malati e i feriti. «Si tratta di un gesto di buona volontà per cercare di dividere l’opposizione moderata dai ribelli», ha commentato il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. Le Nazioni Unite hanno dichiarato l’iniziativa russa positiva, ma non sufficientemente lunga per distribuire gli aiuti necessari.


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