Dal pregiudizio alla crescita: l’Africa come non l’abbiamo mai immaginata

Di Simona Di Gregorio – Quando si parla di Africa si pensa al meraviglioso paesaggio offerto dalle steppe erbose e dalla savana caratterizzanti le aree subtropicali, si immagina l’ombra dei baobab e le foreste pluviali equatoriali, le zebre, le giraffe e gli ippopotami.

Quando si parla di Africa si pensa alla terra rossa battuta dai piedi nudi dei bambini in fila ai pozzi d’acqua, ai vestiti variopinti, alla guerra e alla fame, all’AIDS, alla musica e alle danze, ma anche alle donne con le teste cariche di patate, mais e caffè. C’è chi invece quando guarda all’Africa vede un’area prioritaria di investimento, vede speranza di sviluppo, vede opportunità, vede risorse.

Proviamo ad analizzare l’Africa guardandolo come il secondo continente più vasto sulla terra e facciamo uno sforzo per comprendere perché stia diventando una delle aree più ambite per gli investimenti.

Il primo elemento che sembra essere la maggiore attrazione, è l’emissione di debito pubblico. Se qualche anno fa l’instabilità politica dei vari stati africani risultava essere un fattore di rischio elevato che lasciava spazio esclusivamente ad investimenti di tipo speculativo; oggi possiamo affermare con certezza che la crescita della fiducia si sta diffondendo a macchia d’olio o per meglio dire di petrolio, infatti le prospettive di crescita sono trainate innanzitutto dal settore minerario. La vera convenienza nasce dall’incontro tra un elevato rendimento dei titoli emessi, dovuto agli altissimi interessi pagati dai bond e dal calo degli interessi, conseguente alla crescente stima e credibilità, che sta dando luogo ad un vero e proprio boom di investimenti.

Non a caso, negli ultimi anni la Sadc (South African development community, ossia una zona di libero scambio a cui aderiscono 14 paesi: Angola, Botswana, Congo, Lesotho, Malawi, Monzambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbawe) è divenuta la seconda area commerciale al mondo dopo l’Asean formata dai Paesi del Sudest asiatico.

Tra i molteplici stati che compongono l’enorme continente, l’attenzione ricade su sette paesi che vengono considerati dai due terzi del mondo più promettenti. Questi sono: Angola, Etiopia, Ghana, Monzambico, Sudafrica, Sudan del Sud e Uganda. Il loro massimo comun divisore, oltre alle importanti risorse minerarie è in primis una considerevole stabilità politica accompagnata da un business impiantato già verso lo sviluppo della piccola e della media impresa che favorisce la crescita e la stabilità economica tutto ciò, inoltre, viene reso ancora più appetibile da un’elevata potenzialità in campo agricolo dei suddetti paesi.

Il fattore di slancio si incontra però nel costo della mano d’operaQuesto, nonostante la crescita dovuta ad una maggior presenza di personale “high skilled” continua ad essere “low cost”. Alla luce di quanto è stato esposto potrebbe sembrare lapalissiano che non si sta parlando di un’era Africana nuova, proiettata verso la crescita, piuttosto si sta ripetendo quel fenomeno tanto demonizzato del colonialismo.

La situazione non si presenta però così lampante. I nuovi investitori, infatti, soprattutto cinesi stanno adottando nuove strategie che si fondano sulla creazione di partnership strategiche fondate sulla cooperazione economica di tipo “win-win”. È un’ufficiale linea di azione che traduce in termini economici la tipica frase caratterizzante la contrattazione nei mercati arabi. Se vi è mai capitato di passeggiare tra il profumo degli incensi, misto all’odore di terracotta dei classici tajine nord africani vi sarà capitato anche acquistando al mercato di trattare per il prezzo e di sentirvi dire: “…a questo prezzo sorridi tu e sorrido anche io”. La versione ufficiale di questo simpatico modo di dire arabo è racchiusa nei nuovi metodi di approccio utilizzati per sfruttare l’enorme potenziale di sviluppo delle zone riscaldate dall’equatore.

I principi di uguaglianza politica e fiducia hanno fatto in modo che si andasse sviluppando sempre più quell’idea che caratterizza le nuove società fondate sul concetto di “sharing”, che trovano la loro forza nella cooperazione tra soggetti inter paris per uno scambio equo di risorse. Aumenta sempre più la consapevolezza che una maggiore condivisione, capace di  tener conto degli interessi dei Paesi in gioco, può portare ad un livello di crescita globale capace di soddisfare in toto l’ambizione allo sviluppo.

Chi tra tutti è giunto prima a questa conclusione è stata la grande Cina che negli ultimi anni sta investendo miliardi di dollari per soddisfare il fabbisogno del continente asiatico attraverso lo sfruttamento delle risorse africane non ancora utilizzate. I meccanismi bilaterali instaurati dalla Cina hanno garantito a quest’ultima di fare i propri interessi garantendo all’Africa una facilitazione dei prodotti nel mercato cinese attraverso un regime agevolato. A queste condizione l’Africa, forse ancora una volta ingenuamente, ha aperto le sue porte agli investitori cinesi, i quali, incoraggiati dal governo con prestiti agevolati, sostengono investimenti nel settore agricolo, delle infrastrutture e del turismo. L’incontro Africa-Cina nasce da un’ ulteriore fattore di interesse; da una parte quello dell’Africa dove vi è un’enorme domanda per la costruzione di infrastrutture dall’altro quello della Cina di investire.

Da questo incontro è nato nell’ultima decade, il trend della costruzione delle così dette “città fantasma”La più grande tra quelle costruite si chiama Nova Cidade de Kalimba, una moderna città composta da 750 edifici di otto piani ciascuno, capace di contenere in tutto circa 500mila abitanti. Non è l’unica, infatti la Cina sta invadendo l’Africa di chinatown disabitate, soprattutto nell’area tra la Nigeria e la Guinea equatoriale senza dimenticare di giungere fino in Monzambico, Zambia e Zimbawe.

Un grande interrogativo resta irrisolto: a chi sono destinate davvero queste nuove strutture? Questa corsa all’edificazione è esclusivamente un saggio stratagemma del Grande Impero di far fronte alla costante crescita della popolazione che è fisiologicamente affamata di cibo, risorse energetiche, petroli, alluminio rame acciaio, ma anche di terre da abitare?

Tra tutti i paesi che investono in Africa ( tra cui troviamo anche gli Stati Uniti, l’Italia, la Russia e tanti altri ancora…) la Cina è quello che preoccupa di più di tutti in quanto non porta avanti solo investimenti economici, ma anche culturali. Molteplici centri, gli “Istituti Confucio” stanno sorgendo in tutti gli stati partner. L’offerta educativa capace di insegnare agli africani come fare affari commerciali in lingua mandarino e cantonese è di sicuro per la popolazione africana un’occasione di crescita, ma lascia irrisolto il dubbio sul fatto che ci sia un prezzo per gli africani a tutto questo.

L’inarrestabile avanzata della bandiera cinese coprirà di cemento le magnifiche distese africane incontaminate e riempirà di fumo l’immenso cielo stellato che illumina i deserti? Quanto la cultura africana sarà in grado di resistere? E quanto i diritti umani saranno rispettati? Risorgimento dell’Africa o neocolonizzazione? Questo è il problema!