Il ritorno al passato del “nuovo” M5s

«Se devo fare il capo politico, lo farò. Io ci sono a tempo pieno. Non posso fare un passo di lato. Io voglio stare con il M5s fino alle elezioni e vincerle». Così, Beppe Grillo durante la kermesse “Italia a 5 Stelle”, svoltasi a Palermo, dove ha annunciato il suo ritorno alla guida del movimento, dopo un periodo di voluto, o meno, allontanamento.

Un richiamo alle origini, insomma, per dare slancio alle sfide contemporanee e future. Immancabile il ricordo di Casaleggio. «Quando c’era Gianroberto le prendeva lui le decisioni, le prendevamo insieme. Adesso sono solo. Mi manca, manca a tutti», ha rammentato Grillo. Dal prato del Foro italico, il comico genovese ha lanciato la nuova fase del M5s, quella che dovrà sancire il consolidamento delle basi finora distribuite nel territorio. «Abbiamo protestato, abbiamo gridato la nostra rabbia, adesso dobbiamo organizzarci», ha ribadito Grillo nell’intervento avvenuto nel primo giorno, annunciando la redazione di un regolamento, utile a mettere definitiva chiarezza su alcune questioni, motivo di tensione tra i componenti del movimento.

Tra queste, senza dubbio, la partecipazione in televisione dei singoli esponenti. Indiscrezioni parlano di malumori attorno all’eccessivo monopolizzare da parte di alcuni soliti noti, che di fatto tendevano a lasciare poco spazio agli altri. «In Tv andrà solo chi dovrà parlare di un tema, del nostro programma», ha detto a proposito Grillo, preannunciando che si ritornerà a dar a tutti la possibilità di avere maggiore visibilità, a patto che si parli dei temi cari al meetup.

Non solo programmi e futuro che attenderà da adesso in poi il movimento. Beppe Grillo non ha esitato ad affrontare quanto successo in queste settimane, e lo ha fatto, lanciando anche qualche segnale, che sa tanto di velenosa critica, ai litigiosi del direttorio. «Liti nel direttorio? Forse sì, è normale. Del resto la tv è immagine. C’è quello che funziona di più e quello che funziona di meno». Un messaggio che a molti è sembrato una sorta di delegittimazione del direttorio, di quell’organo a cui erano state affidate le chiavi del movimento, dopo il volontario scostamento di Grillo stesso. Una sensazione, che trova conferma anche nelle parole di uno dei componenti del direttorio, quel Roberto Fico, l’unico dei tre “leader” a non parlare sul palco di Palermo, ma forse l’unico a dar manforte a quanto dichiarato dal comico. «Il direttorio non è un organo politico del movimento. Non esiste il direttorio», si è spinto a dire il presidente della Commissione parlamentare della Vigilanza Rai, «esistono persone che decidono per le loro competenze, esistono funzioni». E poi ancora «il Movimento è partecipazione e condivisione».

Meno netto il candidato premier in pectore, Luigi Di Maio, che durante la trasmissione di “1/2” di Lucia Annunziata, a precisa domanda della giornalista, ha smentito la ricostruzione secondo cui il direttorio non esistesse più. Anzi, al contempo, il vicepresidente della Camera ha voluto rimarcare come all’interno dell’organizzazione del M5s, qualcuno ovviamente sia «più dirigente di altri». Punti di vista differenti che lasciano trasparire a loro modo il distacco tra le varie componenti interne ai Cinque Stelle, e che solo la presenza di Grillo ha temporaneamente attenuato.  

Mai, questi era giunto a tanto: elevarsi a capo politico del movimento. Una decisione inconsueta, arrivata senza la classica consultazione sul blog né tanto meno con un congresso. Una stranezza per chi ha fatto e fa della democrazia diretta uno dei suoi cardini principali, tra l’altro riproposto in quel di Palermo tramite le parole del figlio di Casaleggio, Davide, che ha annunciato la nascita della piattaforma “Rousseau”. Una presa di posizione, che sa persino di rimprovero verso chi avrebbe dovuto, e voluto, rendere il movimento una forza politica vera e propria, capace di camminare con le proprie gambe. L’evoluzione mostrata, in parte e in modo alterno, anche nelle dichiarazioni su temi globali, (ricordarsi il cambio d’opinione su euro e non solo) lasciava presagire l’avvento di una nuova prospettiva politica per i pentastellati. Forza non più solo d’opposizione, in grado di urlare e protestare, piuttosto governativa, capace di cogliere la sfida giunta dai recenti risultati amministrativi di Roma e Torino. E invece, ecco, al primo accenno di crisi e di litigi, ripiombare il vecchio leader a difesa del proprio giocattolo, imponendo al movimento di ritornare al passato per riprendere il proprio cammino. Il che va letto, senza dubbio, come un importante passo indietro.

Mario Montalbano