Il libro consigliato: Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo

“Un giornalista è sempre uno storico. Il suo lavoro consiste nel ricercare, esplorare, descrivere la storia nel suo farsi. Le conoscenze e l’intuito dello storico sono la qualità fondamentale di ogni giornalista. È facile riconoscere il buon giornalismo da quello cattivo: nel buon giornalismo, oltre alla descrizione di un evento viene data anche la spiegazione del motivo per cui è accaduto; quello cattivo si limita semplicemente alla descrizione dei fatti, senza collegarli al contesto storico. C’è il resoconto del fatto in sé, senza che ne possiamo capire le cause e i precedenti.”

Con queste parole, Ryszard Kapuscinski spiega le ragioni di una scelta, quella che lo avevano portato a percorrere la strada del giornalismo, e non quella del professore di storia. Kapuscinski ha preferito raccontarla, la storia, con gli occhi e la mano da reporter, appunto come scritto da lui stesso, “nel suo farsi”, nel suo lento o rapido incidere, nelle sue pieghe positive o tragiche, nelle sue immense sfumature che fanno da collante tra epoche per caratteristiche diverse l’una dall’altra. La storia che Kapuscinski ha vissuto da corrispondente all’estero per l’agenzia di stampa polacca, Pap, in lungo e in largo per il mondo, sempre al centro degli eventi che hanno segnato l’epopea contemporanea, e che ha voluto includere in questa opera. In “Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo”, Kapuscinski evidenzia l’importanza della memoria storica di ciascun individuo, quale elemento di distinzione tra gli stessi e d’identità.

“Uno degli elementi che ci differenziano gli uni dagli altri è il fatto che ognuno di noi ricorda cose e valori diversi, resta legato a certe fasi o a certi generi della memoria.” E il giornalista si affida alla propria di memoria per raccontare le evoluzioni dei paesi, dei continenti, visitati nel corso della sua professione. Un viaggio utile ad analizzare il corso della storia a distanza di anni da fatti che ne hanno segnato il tempo e lo spazio. Kapuscinski inizia dal Terzo mondo, ancora alle prese con gli effetti del colonialismo europeo, ma che, soprattutto dalla fine della guerra fredda, ha visto un’accelerazione nella cosiddetta “decolonizzazione culturale, consistente nella ricerca e nella scoperta, da parte dei paesi del Terzo mondo, della propria identità- e diversa dalla nostra- e delle proprie radici”. E in questo senso, trovano spazio in successione due capitoli fondamentali. Uno sull’Africa, che per Kapuscinski rappresenta “la più preziosa di tutte le mie esperienze”, e di cui lo scrittore rimarca una caratteristica unificatrice: la ricerca dell’indipendenza. “Era uno spirito che percorreva ogni angolo dell’Africa: c’erano la generale attesa e speranza che il colonialismo finisse”. Un processo che è stato fortemente condizionato durante gli anni della guerra fredda, rigettando le sue ripercussioni sul continente. “L’Africa era sempre associata a qualcosa di pericoloso e di incerto. Con il risultato che in quel conflitto incombente si intromisero gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e perfino la Cina”. Indipendenza, da cui però l’Africa non ha tratto, o meglio non ha potuto trarre, il necessario slancio. Ragioni economiche e politiche, ma anche fattori climatici, che rendono complessi ogni tipo di investimento. “Questo continente si trova tagliato fuori dalla corrente principale dello sviluppo, non fornisce il minimo apporto allo sviluppo dell’umanità. Eppure gli africani possiedono una loro civiltà che permette loro di sopravvivere. […] L’Africa ha una sua personalità, talvolta triste e impenetrabile, ma assolutamente unica. È dinamica, aggressiva. E a me piace”.

Un secondo sull’America Latina, in cui Kapuscinski ha vissuto, nel periodo immediatamente successivo alla morte di Che Guevara, il quale “mi ha accompagnato come una specie di mito”. Kapuscinski descrive un continente che dalle dittature militari degli anni sessanta, miste ai governi civili, è progredito fino ai giorni nostri. “Quasi ovunque vige la democrazia”, sottolinea l’autore polacco. Ma, è un altro l’elemento che Kapuscinski ha voluto porre in evidenza: il risveglio delle società indie, “degli abitanti originari di questa terra”, sullo sfondo di una collaborazione fra razze, religioni e culture, che vede quella europea penetrare e mischiarsi a quella locale. “Stiamo quindi assistendo a un appassionante esperimento di portata planetaria. Potrebbe venirne fuori un nuovo ibrido culturale che riunisca in sé le varie componenti della cultura india, europea e africana”.

Kapuscinski affronta anche tematiche delicate, com’è il rapporto con l’Islam dopo i fatti dell’11 settembre e le guerre in Medio Oriente. Consapevoli dell’esistenza di una diatriba interna tra sunniti e sciiti e di una cultura fortemente rigida nella difesa delle sue tradizioni, l’autore polacco esorta alla tolleranza, accompagnato da “un certo spirito di curiosità e di buona disposizione”, quale principio motore per il futuro di un mondo pluriculturale e differenziato.

Da polacco, Kapuscinski non può non riservare un occhio di riguardo alla situazione della Russia, che viene definita come “un grande ibrido” tra elementi del sistema vecchio e quello nuovo. “Probabilmente la Russia non tornerà più alla sua posizione di superpotenza. Continuerà sempre a manifestare le sue inclinazioni imperialistiche, ma il tempo delle grandi potenze è passato: oggi la forza di uno stato non si misura più dall’estensione territoriale.” Così come non poteva non esprimersi sull’Europa, che, secondo l’autore polacco, “sta perdendo la sua identità tradizionale: è sempre meno un continente di cristiani bianchi e sempre più una zona multiculturale e multireligiosa”. Per molti un problema, e Kapuscinski non nega che questo possa esserlo, ma al contempo “questo nuovo, planetario, ambiente culturale potrebbe anche rivelarsi stimolante, fruttuoso, fecondo”. E infine, l’ultimo capitolo, quello sulle novità emergenti dalle coste del Pacifico, partendo dai processi di trasformazione della società americana, sempre meno “eurocentrata” e“più multiforme grazie all’incredibile abilità dei nuovi immigrati del Terzo mondo che introducono nella cultura americana una parte della loro cultura originaria. Il concetto di cultura dominante americana cambia di minuto in minuto”.  Un fenomeno che non coinvolge solamente il paese statunitense, piuttosto un’intera area, quella del Pacifico, a cui “da un punto di vista storico, è probabile che l’America finisca […] per unirsi […], creando con essa una sorta di grande collage: un miscuglio di culture latino-americane e asiatiche, unite tra loro dai più moderni collegamenti tecnologici”. Una novità che potrà, secondo Kapuscinski, rappresentare “un nuovo tipo di rapporto tra il mondo sviluppato e quello sottosviluppato, un rapporto basato sull’apertura, sulla speranza, sul futuro, sulla plurinazionalità”.  

Questi sono alcuni degli spunti che la lettura di “Nel turbine della storia” di Kapuscinski può regalare. Un’opera che dall’introduzione di chi ne ha curato la redazione, Krystyna Straczek, si evince sia incompleta, causa la precoce morte dell’autore polacco nel 2007. Molte delle considerazioni fatte nel corso del libro potranno apparire passate. Ma, rientra tutto nello spirito della storia. È lo stesso Kapuscinski ad anticiparlo nelle sue brevi conclusioni. “Partecipiamo tutti a un processo storico tuttora in atto, un processo così complicato e composto da talmente tanti elementi che nessuno può prevedere il modo in cui si comporranno e in cui, in futuro, influiranno gli uni sugli altri.[…]Tutto quello di cui parlo sta tuttora accadendo, è ancora in atto di farsi, e nessuno può dire con sicurezza in che modo andranno a finire le cose. Per me, comunque, sono gli unici argomenti importanti. Non riesco a immaginare che si possa scrivere un libro per cercare di racchiudere il mondo odierno in una formula fatta e finita”.

Mario Montalbano