Tutti uniti per Hillary, l’assist di Obama alla Clinton

“Posso affermare con fiducia che non c’è mai stato un uomo o una donna più qualificati di Hillary Clinton per servire come presidente degli Stati Uniti d’America”.

Con queste parole, Barack Obama, dal palco della Convention democratica al Wells Fargo Center di Philadelphia, ha voluto formalmente passare il testimone all’ex segretario di Stato. Un endorsement atteso, certo, ma comunque importante per Hillary, che riesce così, almeno per un po’, ad allontanare i dubbi e le critiche che la sua campagna elettorale sembra attirare continuamente. L’attuale presidente degli Usa si è preso inevitabilmente la scena, e con essa a braccetto l’ex first lady, in difficoltà fino a quel momento durante la Convention, rievocando i termini noti delle sue campagna elettorali precedenti. “Yes, we can”, ma anche “hope” e “change”, che Obama ha voluto rilanciare per l’occasione, mandando in visibilio la folla di Philadelphia. “Vi chiedo di fare per Hillary quello che avete fatto per me con l’audacia della speranza. Avete rivendicato quella speranza negli ultimi anni otto anni e ora sono pronto a passare il testimone e fare la mia parte da privato cittadino. Quest’anno in questa elezione, vi chiedo di unirvi a me, di rifiutare il cinismo, la paura e fare ciò che è meglio per noi: eleggere Hillary Clinton come prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, mostrando al mondo che ancora crediamo nella promessa di questa grande nazione”.

E giù altri applausi, che sono diventati sempre più scroscianti, all’entrata della Clinton sul palco per l’abbraccio finale tra i due. Un’immagine, che potrebbe, Trump permettendo, presto diventare storica. Il primo presidente afroamericano che formalmente consegna le chiavi del paese alla prima presidente donna degli Stati Uniti d’America. Ma, di qua a novembre, la strada è ancora lunga, e la Clinton, nonostante l’assoluzione dell’Fbi dal caso “emailgate”, e l’aiuto di Obama che le hanno permesso di acquistare consensi negli ultimi due giorni di Convention, deve far fronte ad una situazione all’interno del partito molto complicata, specie dopo le rivelazioni di Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange, giunte alla vigilia della Convention, sulla propensione dei responsabili democratici a favorire la Clinton ai danni di Bernie Sanders, durante le primarie.

A pagarne le conseguenze politiche era stata, qualche giorno prima della kermesse di Philadelphia, Debbie Wasserman Schultz, presidente dei democratici. Ma, è tutto il partito ad essere messo in discussione. Le email pubblicate hanno fatto riemergere un sospetto, a questo punto ben fondato, e che, tra l’altro, lo stesso Bernie Sanders, durante la campagna delle primarie ha più volte sostenuto. Al netto dei contorni internazionali che la vicenda ha assunto e potrebbe assumere, data la nazionalità russa degli hackers (Putin non è apparso così netto nel smentire un qualsiasi coinvolgimento), il nuovo “emailgate” complica la mission della Clinton nella conquista della Casa Bianca. I sostenitori del senatore del Vermont, a maggior con l’uscita dello scandalo, hanno già manifestato il loro malcontento e dissenso durante tutta la Convention di Philadelphia, confermando anche la possibilità di non andare al voto, o addirittura di votare per Trump o per qualche indipendente. E le scuse del Comitato Nazionale del partito a Sanders non sono servite ad attenuare la loro rabbia, che è esplosa persino anche nei confronti dello stesso senatore del Vermont, al termine del suo discorso di endorsement in favore della Clinton.

Un’altra grana, quindi, per l’ex segretario di Stato, che, al termine delle Convention dei rispettivi partiti, secondo i sondaggi, si trova dietro nei consensi rispetto a Trump. Paradossalmente, il tycoon newyorkese sembra aver convinto di più gli scettici del suo partito di quanto non abbia fatto la Clinton con i propri. Se questa vorrà cogliere l’eredità di Obama, diventando la prima donna americana presidente degli Stati Uniti d’America, dovrà necessariamente passare per una maggiore unione del suo partito. Le parole di Obama sono state tempestive e opportune, e sembrano aver riportato un po’ di serenità e tracciato una direzione, riuscendo ad unire in nome di un nemico comune, Trump. Ma, potrebbe non bastare.  

Mario Montalbano


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