L’elogio all’egoismo e l’attualità del duca di La Rochefoucauld

Uno dei moralisti francesi più importanti del XVII secolo, François VI duca di La Rochefoucauld, principe di Marcillac con il suo iper-individualismo ha anticipato grandi personaggi e aforismi della filosofia più vicina a noi. Nel 1665 pubblica le sue Massime dopo una vita dedicata alla politica, costellata di momenti difficili e talvolta drammatici. Dalla perdita della moglie e della madre, seguita dalla morte di uno dei suoi figli, al fallimento del complotto contro Richelieu che gli costò quasi la vista dopo essere stato ferito da un colpo di moschetto in faccia. Cominciò allora a frequentare i salotti letterari, di certo meno movimentati dei tumulti di una fronda.

Le 504 massime contenute nell’opera Maximes sono il risultato del preziosismo dei salotti. Qui La Rochefoucauld eccelleva nel calarsi in pensieri e riflessioni di una certa raffinatezza, molto stimata dai frequentatori dell’ambiente. Il “gioco di salotto” ruotava intorno un’unica idea di fondo: l’interesse personale è quello dominante nei pensieri e nelle azioni.

La Rochefoucauld
François VI, deuxième duc de La Rochefoucauldprince de Marcillac

Una frase, «Spesso le nostre virtù non sono altro che vizi travestiti», sintetizza il pessimismo di La Rochefoucauld e spiega come i comportamenti virtuosi si dissolvano nella passione e nel desiderio, elementi di maggiore forza e costitutivi delle stesse virtù, quest’ultime descritte solo come maschere.

L’egoismo è l’origine della virtù e nell’egoismo essa ritornerà per il suo intrinseco scopo: un ciclo di cui non fa parte neanche lontanamente una qualche morale cristiana e che sostiene l’inevitabile corruzione della natura umana. Elegante, fascinosa, cinica e pungente, questa visione ha attraversato popolazioni e secoli, passando per l’egotismo di Stendhal, il pensiero di Schopenhauer e trovando approdo in Nietzsche che reputava questo suo ispiratore capace di rappresentare “il nero della natura umana”.

«La Rochefoucauld e quegli altri maestri francesi dell’esame psicologico somigliano a tiratori dalla mira infallibile, che colgono ogni volta immancabilmente nel nero centro, che è il nero della natura umana. La loro abilità desta stupore, ma lo spettatore che non è guidato dallo spirito della scienza, bensì dall’amore per l’umanità, maledice alla fine un’arte che sembra piantare nelle anime degli uomini il senso della denigrazione e del sospetto». (Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano, 1878)

È possibile ritrovarsi e ritrovare ombre del presente nelle massime di La Rochefoucauld. Ed è possibile riflettere, con uno spirito meno giustificante, su una sorta di corruzione sociale, meno naturale e più “ereditata” culturalmente. La schiettezza del François eccelso moralista apre certamente al cosiddetto amor proprio, smascherandolo una volta e per tutte – e lo faranno tanti altri successivamente, come se certi concetti fossero ciclicamente posti al centro dell’attenzione.

Se le sue massime hanno fatto così tanta strada, lo dobbiamo a coloro che le hanno sentite e fatte proprie – e anche a chi le ha criticate aspramente – perciò, di seguito, ne riportiamo alcune delle più famose, osservando come non ci sia nulla di più moderno che questa antica crudezza non abbia già brillantemente descritto:

«L’amor proprio è il più grande di tutti gli adulatori»;

«Ci sono buoni matrimoni, non ce ne sono di deliziosi»;

«Gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non s’ingannassero a vicenda»;

«Non si da’ nulla con tanta liberalità quanto i consigli»;

«Il proposito di non ingannare mai ci espone a essere ingannati sovente»;

«Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui».


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