Le valute complementari, una potenziale risorsa per le piccole economie

Di Ugo Lombardo – Il fenomeno delle valute complementari è relativamente recente. La denominazione “complementare” deve il suo nome al professore B. Lietaer e sta guadagnando favore presso gli studiosi e i practitioners.

Innanzitutto è necessario partire da cosa s’intende per valute complementari. Esse, affiancando il denaro ufficiale, rispetto al quale sono appunto complementari, sono strumenti di commutazione attraverso le quali è possibile scambiare beni e servizi. Solitamente non hanno corso legale e sono accettate su base volontaria e questo contribuisce al loro aspetto identitario, cioè al loro identificare la comunità all’interno della quale sono usate. Per potere essere operativa, un valuta complementare deve essere accettata e utilizzata all’interno di un gruppo, di una rete, di una comunità per facilitare e favorire lo scambio di merci, la circolazione di beni e servizi all’interno di tale rete sociale. Le valute complementari si collocano, infatti, come “sistemi di accordo” all’interno di una comunità e vengono utilizzate proprio a questi fini. Esse promuovono la pianificazione a lungo termine e stimolano i partecipanti al circuito, ad investire in attività produttive correlate tra loro invece che indirizzarle all’accumulo di denaro. Inoltre, incoraggiano gli scambi e la cooperazione con la propria rete di aderenze, attraverso la circolazione del bene di scambio a cui, solitamente, viene attribuito un valore etico e ideale e non strettamente economico. In questo modo si pone al centro lo scambio e la relazione che ne deriva piuttosto che il profitto che ne può derivare.

Ma quali sono le ragioni che danno vita a un sistema di valuta complementare? Per prima cosa è fondamentale partire dal significato, antico, del denaro. Il denaro altro non è che “un accordo all’interno di una comunità che accetta di utilizzare “qualcosa” come bene di scambio riconosciuto”. Quindi esso è uno strumento utile a scambiare beni e servizi per tutta la comunità. Di conseguenza è qualcosa che è al servizio della comunità stessa. Oggi, invece, se si considera come viene creata una valuta, qual è la quantità che deve circolare, quali sono le istituzioni che la gestiscono ed i tassi d’interesse da definire, ci si può rendere conto come, la moneta, nonostante sia importante per tutti, è uno strumento che viene considerato come un bene privato. Tutto questo influenza in modo inequivocabile la natura degli scambi, il periodo durante il quale il denaro sarà investito, le relazioni tra le persone che lo usano e il rapporto con la moneta stessa. Naturalmente, le valute ufficiali come l’euro, sono necessarie per gli scambi economici nazionali e internazionali, per pagare e riscuotere le imposte, per fare grandi acquisti o per il risparmio.

Quello che però sembra sfuggire è che sono le banche private, sotto l’egida delle banche centrali, che creano denaro tramite la concessione di prestiti e la sottoscrizione di debiti. Le principali valute ufficiali fanno sempre più parte di un’economia finanziarizzata, in cui una minoranza accumula ricchezze mentre la maggioranza s’impoverisce. Un’economia dove sembra regnare la speculazione, e l’evasione fiscale ed in cui le valute, sono ormai solo marginalmente al servizio dell’economia reale, sfuggendo in gran parte al controllo democratico.

Alla base delle recenti teorie che appoggiano la creazione di un sistema monetario complementare all’euro, vi è proprio l’idea che l’eccessiva importanza delle banche private nell’emissione di una valuta come l’euro, potrebbe rappresentare un problema dal punto di vista della legittimità democratica. Quindi, secondo questo corrente di pensiero, mettere in circolazione uno strumento complementare all’euro, trasparente e democratico, frutto di una gestione civica e partecipativa, potrebbe permettere la valorizzazione al meglio di beni e servizi che le comunità possiedono al proprio interno, il cui valore non può essere determinato da una valutazione “standard” globale come il dollaro” o europea come l’euro. Da un punto di vista strettamente economico, secondo questa corrente di pensiero, le valute complementari permetterebbero anche di correggere le diseguaglianze generate dalle valute ufficiali come la disparità dei redditi, un deterioramento del capitale sociale dei più deboli ed un aumento della speculazione a breve termine permettendo, anche a chi non ha abbastanza euro, di partecipare maggiormente agli scambi economici locali. Le valute locali complementari potrebbero, quindi, consentire a tutti di partecipare agli scambi economici, indipendentemente dal reddito in valuta ufficiale. Bisogna inoltre aggiungere che l’idea non è poi così nuova. Infatti, in Europa sono esistite moltissime monete locali fin dal Medioevo. Da Carlo Magno a Napoleone, le monete di rame battute da autorità locali, città, vescovi e monasteri, hanno svolto un ruolo importante nel commercio locale, accanto alle monete d’oro e d’argento emesse da re e signori. Oggi esistono circa 5000 monete locali nel mondo e si possono distinguere: le monete “commerciali” (es. i punti fedeltà nei supermercati), le monete “dedicate” come i buoni pasto, le valute locali “garantite” che circolano sotto forma di biglietti o monete in un territorio delimitato per sviluppare l’economia di una regione o di una rete. Poi vi sono ancora, le “monete-tempo” che creano un legame tramite lo scambio di competenze o di saperi come ad esempio il SEL, (Sistema locale di Exchange). Infine la valuta “civica” quando è un gruppo di cittadini a creare e gestire la moneta. Già da molto tempo varie regioni in Francia, Austria e soprattutto in Germania, stanno sperimentando le valute locali e recentemente in Sicilia a Palermo è stato lanciato il progetto per una moneta elettronica complementare denominata “Ciuri”.