«Abbiamo i russi davanti al bunker»: la disfatta tedesca di Stalingrado

Negli annali della storia, le battaglie e le guerre hanno rappresentato, in chiave tragica e dolorosa, l’evoluzione umana. In tremila anni partendo da Qadesh nel 1285 a.C.,  la prima battaglia documentata della storia, giungendo alle più recenti in Medio oriente, l’essere umano ha evoluto e messo in pratica strategie di combattimento che spesso, ancora oggi, vengono presi come esempio, a distanza di secoli, dagli eserciti mondiali per sconfiggere un potenziale nemico.

Emulando l’impresa di Napoleone del 1812, la mattina del 22 giugno 1941, Adolf Hitler, a capo di più di tre milioni di soldati dell’asse dà l’inizio all’operazione Barbarossa, l’invasione dell’Unione Sovietica. Nelle prime fasi dell’operazione la strategia militare tedesca si rivela la più decisiva, ma come accadde alle truppe napoleoniche centotrent’anni prima, fu l’attesa del rigido inverno russo, le tattiche di ritirata e della cosiddetta “terra bruciata” a dar man forte alle ormai esauste truppe sovietiche.

L’operazione Barbarossa si concluse nel dicembre successivo, ma il 1942 fu l’anno della svolta. La battaglia di Mosca, combattuta esclusivamente nella periferia della capitale sovietica, causò alla Wermacht quasi mezzo milione di morti e altrettanti feriti. La chiave di svolta avviene agli inizi della primavera del 1942. Il generale Friedrich von Paulus, a capo della decima Armata di stanza in Unione Sovietica, occupa e conquista la Crimea e parte del Caucaso, ponendo la testa di ponte dell’avanzata al fiume Don e su ordine di Hitler divide le armate in due gruppi. Al gruppo A viene dato ordine di dirigersi verso la città di Stalingrado.

Situato sulle rive del fiume Volga, la città di Stalingrado, un simbolo della potenza economica e militare sovietica (li erano presenti le fabbriche che producevano i famosi carri T34) diviene il punto di scontro per uno degli assedi più lunghi, e una delle battaglie più sanguinose e violente di tutto il conflitto mondiale. I tedeschi avevano pianificato di attaccare la parte ovest della città i primi di settembre, mentre la quarta armata corazzata avrebbe dato supporto da sud. Nella città però venne attuata una tenace resistenza da parte delle truppe agli ordini del generale Andrej Jeremenko e dal commissario politico Nikita Kruscev; secondo alcune fonti si parla di circa un milione di soldati sovietici a difesa della città. I continui e pesanti bombardamenti della Luftwaffe riducono la città in un cumulo di macerie e il 14 di settembre la 71esima divisione di fanteria  taglia il centro della città, mentre da sud la 24esima divisione Panzer avanza fino ad occupare la stazione centrale.

Centro di Stalingrado dopo i bombardamenti aerei della Luftwaffe tedesca

I tedeschi ai primi di novembre tengono sotto controllo quasi la totalità della città, mentre i russi asserragliati in una sacca di appena un chilometro di diametro riescono ad avere approvvigionamenti e truppe fresche ogni giorno, grazie all’unico approdo per battelli sul fiume volga rimasto in mani loro. Ma il rigidissimo inverno russo è ormai alle porte e consci della grande opportunità che gli si sta manifestando, le truppe della 65esima armata sovietica, bombardano con circa ottocento cannoni le truppe dell’Asse presenti in città: inizia l’Operazione “Uranus”.

La sacca di Stalingrado con la dislocazione delle divisioni accerchiate della 6ª Armata

Il contrattacco sovietico si estende ben oltre la sacca della città; la sua vastità copre tutto il fronte fino al settore sul Don, quello difeso dall’ottava Armata italiana – ARMIR -, ma l’inverno sempre più rigido riduce le truppe dell’asse allo stremo. Le richieste di rinforzi del generale Paulus all’alto comando del Reich rimangono inascoltate. Hitler ordina a tutte le truppe di rimanere nelle loro posizioni, senza la minima possibilità di ripiegamento. Questa mossa cambierà drasticamente le sorti della battaglia. I sovietici riescono a sfondare il fronte del Don, sbaragliando le truppe italiane e rumene.

Soldati dell’Armata Rossa combattono dal tetto di una casa – Stalingrado, gennaio 1943

I primi soccorsi del generale Hoth, giunti a Rostov a fianco di quelle di Paulus sono inutili di fronte all’incalzante offensiva e tattica dei sovietici. Le truppe del Asse, che da settimane ormai non hanno più approvvigionamenti sono esauste. Si contano decine di migliaia di morti per stenti, freddo e fame. I primi di gennaio del 1943 i sovietici controllano quasi tutta la città e offrono al nemico una resa, ma Hitler ordina al generale Paulus di non arrendersi e di combattere fino all’ultimo, promuovendolo Feldmaresciallo. Ma dopo che il 16 di gennaio i sovietici riescono ad occupare i due aeroporti della città e a riconquistare la sacca, i primi segni di resa si manifestano tra le file delle truppe dell’Asse. E dopo che la mattina del 31 gennaio, le ultime radio trasmettono «abbiamo i russi davanti al nostro bunker. Questa radio non trasmetterà più», il feldmaresciallo Paulus si arrende al nemico. È l’inizio della fine della campagna sul fronte orientale.


Di Emanuele Pipitone

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