razzismo

Il razzismo di ieri e di oggi

Facendo una breve ricerca sulla parola razzismo si può trovare la seguente definizione: «Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la “purezza” e il predominio della “razza superiore”».

Partendo da queste frasi, si può tracciare una sorta di carrellata storica degli episodi o prassi che sin dagli antichi greci rivelano la paura per colui che è “diverso” dai propri usi, costumi o per il colore della pelle. Nella storia contemporanea, tra le espressioni del razzismo ai limiti del surreale – che tutti voi lettori avete già riportato alla vostra mente una volta letto il titolo di questo articolo – sono state l’antisemitismo razziale tedesco sfociato nell’olocausto degli ebrei e la discriminazione dei neri in America. Per non dimenticare l’Apartheid in Sudafrica.

Per chi si trova spesso a parlare con alcuni adolescenti: è prassi rettificarli ogni qual volta definiscono Hitler un pazzo. Perché un solo pazzo non può ingenerare il disastro attuato. Più preoccupante è stato il grado di consenso popolare che ha portato a considerare “normale” l’idea di una razza ariana, appunto quella tedesca – con tutti gli accorgimenti del caso – superiore alle altre. Da questo presupposto è scaturita una sorta di legittimità all’uso della violenza a servizio del potere.

Quindi, se il razzismo ha storicamente avuto la funzione di giustificare qualche forma di discriminazione e oppressione, oggi come ieri esso potrebbe avere la funzione di giustificare qualche forma di potere.

Partendo da questa considerazione, non si può non guardare con preoccupazione ai fatti di razzismo poliziesco susseguitisi in America, uno dietro l’altro, colpo dietro colpo, vendetta dopo vendetta, bianchi contro neri, polizia contro civili. Morti. Troppi morti per essere un paese che si vanta di essere la madre della democrazia, della civiltà e del progresso, ma che permette ancora in alcuni suoi Stati la pena di morte.

Forse, un paese ancora legato ad una prassi politica volta a garantire la purezza del modello di americano bianco, pur avendo avuto il primo afroamericano come 44esimo Presidente appena qualche anno fa. Infatti, leggendo alcuni commenti ai fatti di cronaca statunitensi, è possibile registrare una falla nel sistema di polizia in cui scorre ancora la discriminazione razziale. Basti pensare che dopo i casi di Ferguson, è stato aperto un apposito ufficio presso il Ministero della Giustizia per migliorare le relazioni tra polizia e comunità afroamericana.

Il razzismo è un fenomeno complesso che però non è solo legato alle istituzioni, in primis quelle deputate alla sicurezza dei cittadini. Esso si rende visibile tra la gente senza differenza alcuna di portafoglio. Solo che quando emerge nei contesti più degradati, assume dei toni più aspri e politicamente più facili da manipolare, riuscendo a celare istanze sociali ben più importanti: mancata integrazione delle seconde generazioni di immigrati (vedi gli episodi nelle banlieue francesi), quartieri ghetto costruiti nelle periferie delle grandi città (vedi le proteste di Tor Vergata a Roma). Solo per fare due esempi.

Così, come altrettanto veritiero è il fatto che nei momenti di grande incertezza economica, è più facile rifugiarsi tra le braccia del potente di turno che proclama di renderti sicuro nella tua casa, nella tua città e nella tua nazione, alimentando automaticamente e rendendo “normale” la paura del diverso da te.

Ed è proprio su questa “normalità” che bisogna interrogarsi oggi. Chissà, forse nasciamo tutti un po’ razzisti; la scommessa sarebbe morire da non razzisti.

Di Luciana Lotta


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