Obama fra crisi economica e politica commerciale (seconda parte)

La politica economica internazionale degli Stati Uniti sotto la presidenza Obama si è sviluppata  principalmente su due linee guida: il contrasto alla crisi globale e una nuova possibile definizione degli accordi commerciali.

Dopo aver esaminato la settimana scorsa la crisi economica con i suoi effetti sui mercati globali, ora affrontiamo un’altra sfida importante per il governo di Obama, la politica commerciale.

Una nuova politica commerciale?

Il secondo pilastro della politica economica internazionale di Obama riguarda maggiormente la politica commerciale. Un primo effetto in questo campo è rintracciabile nelle politiche economiche di stimolo interno negli USA e in particolare le politiche monetarie espansive che hanno effetto anche sulla forza del dollaro. La moneta americana comincia un deprezzamento del suo valore sui mercati mondiali che permettono un maggiore stimolo per il settore export americano, con effetti sulla crescita economica nazionale e sull’occupazione.

La politica commerciale statunitense è attiva soprattutto su due fronti geopolitici propulsivi: quello pacifico e quello atlantico.

L’amministrazione si è spesa moltissimo per un lavoro di negoziato volto al raggiungimento di due trattati separati il T.P.P. (Trans-Pacific Partnership) e il T.T.I.P. (Transatlantic Trade and Investment Partnership). I due trattati sono molto ambiziosi e hanno come scopo la creazione di aree commerciali ampie. Il T.P.P. prevede la partecipazione di 12 Stati che si affacciano sul Pacifico con l’assenza di primo piano della Cina. In molti vedono nell’assenza del gigante asiatico una politica di limitazione della sfera di influenza cinese e un tentativo americano di limitarne la forza. Il Trattato del Pacifico ha già raggiunto la stesura finale ed è stato siglato da tutti i paesi il 5 ottobre dello scorso anno. La ratifica del trattato necessita delle procedure nazionali di riferimento, quindi il T.T.P. non è ancora in vigore. Il secondo trattato è in fase avanzata di trattativa fra i rappresentanti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, anche se la fine della trattativa, con buona probabilità, non sarà raggiunta a breve.

I due trattati hanno avuto diverse critiche negli Stati Uniti e fortissime critiche ha ricevuto il T.T.I.P. in Europa. In particolare le critiche maggiori riguardano gli effetti economici dei trattati, gli I.S.D.S. (Investor-State Dispute Settlement) previsti nei due accordi e la segretezza che hanno avuto i negoziati per lungo tempo. Per quel che riguarda le critiche sugli effetti economici gli studiosi non sono unanimi. Una parte degli economisti sottolinea come l’accordo porterà un aumento del commercio e a cascata una crescita dell’occupazione e dei salari; altri prospettano scenari diametralmente opposti sostenendo che l’obiettivo sia favorire le maggiori lobby americane con scarsi effetti su crescita, disoccupazione e salari. Una posizione interessante al riguardo è venuta da Paul Krugman che ha sottolineato come a suo parere il T.T.P. abbia poco a che fare col libero commercio, ma che sia invece un grimaldello per rafforzare la proprietà intellettuale e creare nuovi monopoli:

What the T.P.P. would do, however, is increase the ability of certain corporations to assert control over intellectual property. Again, think drug patents and movie rights.

Is this a good thing from a global point of view? Doubtful. The kind of property rights we’re talking about here can alternatively be described as legal monopolies. True, temporary monopolies are, in fact, how we reward new ideas; but arguing that we need even more monopolization is very dubious — and has nothing at all to do with classical arguments for free trade.”[1]

L’altra forte critica ha riguardato la segretezza delle trattative. Questa segretezza è stata mantenuta fino alla redazione del documento finale per il T.P.P., diverso è stato l’esito nel caso del T.T.I.P. dove la pressione della pubblica opinione e la paura per il contenuto dell’accordo ha portato ad una parziale pubblicazione dei documenti. La parte dei due documenti che ha scatenato la maggior parte delle critiche riguarda gli I.S.D.S. Questi strumenti, presenti nel T.P.P. e rivalutati di recente da parte della UE nel T.T.I.P., permetterebbero di citare in giudizio degli Stati per risarcimento da parte delle imprese che investono nei paesi. La paura di molti sarebbe che queste corti arbitrali, già previste in altri trattati internazionali, possano limitare le scelte dei parlamenti nazionali per timore di risarcimenti milionari. In effetti, alcuni precedenti di utilizzo di I.S.D.S. non sono rassicuranti: si pensi alla causa intentata dalla Philip Morris contro l’Uruguay per la sua campagna antifumo o l’attuale audizione della corte arbitrale da parte della Vattenfell (azienda dell’energia svedese) contro la Germania dopo la decisione tedesca di rinunciare alla produzione dell’energia nucleare. Le critiche negli Stati Uniti al riguardo sono altrettanto dure portando Stiglitz a dichiarare:

Imagine what would have happened if these provisions had been in place when the lethal effects of asbestos were discovered. Rather than shutting down manufacturers and forcing them to compensate those who had been harmed, under ISDS, governments would have had to pay the manufacturers not to kill their citizens. Taxpayers would have been hit twice — first to pay for the health damage caused by asbestos, and then to compensate manufacturers for their lost profits when the government stepped in to regulate a dangerous product.[2]

Le repliche dei favorevoli riguardano la necessità delle imprese di avere delle certezze sui propri investimenti in paesi nei quali non vi è una radicata tradizione giuridica liberale. Queste argomentazioni dovrebbero escludere la necessità di un I.S.D.S. nel T.T.I.P., viste le tradizioni giuridiche di USA e UE. Al contrario, questa clausola era presente e soltanto di recente è stata chiaramente rifiutata dalla UE, che spinge per sostituire la corte arbitrale con la creazione di un unico tribunale con due gradi di giudizio ad hoc per la materia.

Le critiche non hanno ancora fermato le trattative per il T.T.I.P. né hanno evitato la creazione del documento finale del T.P.P. Sembra però che sia il percorso di ratifica del T.P.P. che il definitivo accordo sul T.T.I.P. siano in salita: infatti, potrebbero arenarsi entrambi. Al riguardo il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha avuto modo di affermare che è suo parere personale che il T.T.I.P. non andrà in porto, per negoziati troppo lunghi e diffidenza da parte della opinione pubblica[3].

Il rischio per l’amministrazione Obama è di trovarsi con un pugno di mosche dopo lunghe trattative e si affiancherebbe al fallimento ormai assodato nel cercare di creare un coordinamento delle politiche economiche internazionali negli anni di crisi. 

Nel delineare in sintesi la politica commerciale dell’amministrazione Obama, non possiamo non fare un brevissimo accenno alle più recenti aperture nei confronti dei due paesi storicamente “avversi” all’egemonia statunitense, ossia Cuba e Iran. Lungi dal poter trarre delle conclusioni affrettate, sia la fine dell’embargo commerciale con l’Avana, sia l’accordo sul nucleare e il conseguente allentamento delle sanzioni con Teheran, potrebbero rappresentare due nuovi stimoli per la bilancia commerciale degli USA, anche se entrambe le manovre di disgelo diplomatico e commerciale nei confronti di Cuba e Iran hanno più una forte valenza geopolitica che consentirebbe agli USA di stabilire un presidio più forte nello scacchiere medio-orientale.

Francesco Paolo Marco Leti – Luciana Lotta

[1] http://www.nytimes.com/2014/02/28/opinion/krugman-no-big-deal.html?_r=0

[2] http://www.marketwatch.com/story/the-trans-pacific-partnership-charade-tpp-isnt-about-free-trade-at-all-2015-10-05

[3] http://www.corriere.it/economia/16_luglio_05/calenda-ttip-non-andra-porto-negoziato-tempi-troppo-lunghi-17d86b4a-42b2-11e6-b736-d853470efb0e.shtml