Chi ha paura muore ogni giorno

Sono appena trascorsi cinquantacinque giorni dal massacro di Capaci e dall’impietosa morte del giudice Giovanni Falcone e, con assurda ferocia, l’ennesimo capitolo del romanzo delle stragi sta per essere scritto. 

Paolo Borsellino sa di essere nel mirino di Cosa Nostra. Una consapevolezza che gli deriva dall’immenso lavoro svolto insieme all’amico Falcone nel tentativo di liberare l’amata Palermo dalle infiltrazioni mafiose e di infondere, attraverso il concreto esempio delle loro vite, un messaggio di speranza, di ottimismo, di fiducia nelle istituzioni e nel cambiamento. Vite che la mafia e il complice abbandono da parte delle stesse istituzioni statali, decidono ben presto di spegnere. Chissà quanti risultati avrebbero potuto ancora raggiungere e chissà come sarebbe diversa la nostra società oggi, se chi di dovere si fosse realmente schierato dalla parte dei giusti, dalla parte della legalità e della vita. In realtà non li hanno mai uccisi e ci piace pensare che le loro idee siano ancora linfa vitale per chi desidera una società migliore, libera dalla corruzione e dal malaffare.

«La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». (Paolo Borsellino)

L’esperienza nel Pool Antimafia. In seguito all’uccisione di Rocco Chinnici (luglio 1983) il suo sostituto, il giudice Antonino Caponnetto, decide di creare presso l’Ufficio istruzione il «pool antimafia» composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Peppino di Lello. Il gruppo si sarebbe occupato esclusivamente di reati di mafia attraverso il lavoro di squadra.

L’isolamento all’Asinara e il Maxiprocesso.Per ragioni di sicurezza, nell’estate 1985 Falcone e Borsellino insieme alle loro famiglie furono trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara dove scrissero l’ordinanza che rinviava a giudizio 475 imputati in base alle indagini del pool. Il maxiprocesso stava per iniziare.

2 Borsellino

I professionisti dell’Antimafia.  Paolo Borsellino nel dicembre 1986 viene nominato procuratore delle Repubblica di Marsala. Contro tale nomina si scagliò Leonardo Sciascia attraverso un articolo pubblicato il 10 gennaio 1987 dal «Corriere della Sera» dal titolo I professionisti dell’antimafia. Successivamente l’autore corresse il tiro riconoscendo l’assoluta estraneità del magistrato rispetto ai fatti denunciati, ma il pasticcio si rivelò lo stesso non più rimediabile.

Devo fare presto perché adesso tocca a me. 4 Borsellino Nel suo ultimo intervento pubblico (25 giugno 1992), consapevole di essere l’ultimo rimasto da «eliminare», Borsellino afferma di non voler nascondersi dietro la paura e di continuare a lavorare incessantemente per scoprire la verità sulla strage di Capaci. Nello stesso discorso riprendeva, inoltre, il J’accuse lanciato qualche anno prima in relazione a quanto stava succedendo nell’antimafia in seguito alla disgregazione del pool e allo sfumare dei successi raggiunti da quest’ultimo.

La strage di via D’Amelio. Il 20 luglio 1992 Paolo Borsellino avrebbe dovuto testimoniare sull’inchiesta per la strage di Falcone, ma, purtroppo, non ne ebbe il tempo. Il 19 luglio 1992 un’autobomba parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice uccidendolo insieme ai cinque agenti della sua scorta.

Il mistero dell’Agenda Rossa. Molti sono i misteri che avvolgono la morte del giudice Borsellino e tra questi vi è certamente quello relativo alla sparizione, subito dopo l’attentato, della sua agenda. «… è una corsa contro il tempo quella che io faccio. Sto vedendo la mafia in diretta, devo lavorare tanto, devo lavorare tantissimo…». Parole pronunciate qualche giorno prima della scomparsa e che potrebbero fare luce sulla sparizione dell’agenda. Falcone e Borsellino non hanno mai smesso di vivere e le loro idee continuano a camminare sulle nostre gambe.

Valeria Maschi


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