Il retroscena della corrida

Nella penisola iberica sono 3000 le feste tradizionali conosciute in cui ogni anno vengono uccisi circa 40.000 tori e si mettono in serio pericolo i “picadores”. Certamente la morte di un picador fa scandalo, ma il dato rilevante che dovrebbe colpire tanto quanto le tragiche scene dei picadores uccisi sono i 4.000.000 di tori morti in un solo secolo.

Le tradizionali feste spagnole hanno inizio a Luglio, quando insieme alla tipica corrida da tutti noi conosciuta hanno luogo altre tradizioni come quella degli “encierros”, tradizionale festa in cui si corre davanti un branco di tori per le strade della città, per giungere infine nella “plaza de toros” e assistere alla macellazione dei tori partecipanti alla gara.

È possibile partecipare agli encierros più rinomati recandosi ai Sanfermines di Pamplona – Navarra, dal 7 al 14 di luglio, agli encierros di San Sebastián de los Reyes (Madrid – 28 d’agosto) o ancora a quelli di Cuellar (Segovia). La lotta più conosciuta, tuttavia, resta sempre la corrida, della quale esistono due tipi: il Rejoneo, che avviene con il torero a cavallo e la corrida vera e propria in cui il torero partecipa a piedi.

La tradizione trova il suo principio epistemologico nella lotta uomo-animale, quasi a voler concretizzare la superiorità dell’uomo attraverso la vittoria contro la brutalità taurina. Il gusto per la crudeltà è divenuto oggetto di spettacolo con la nascita del Colosseo, che vide morire 11.000 animali sacrificati, ma le prime gare in Spagna possono farsi risalire all’anno 815 d.C..

La corrida, che risale al XIV secolo, nasceva però come un gioco equestre e incontrò subito la critica di Papa Pio V che ritenne opportuno fin da subito condannare le “fiestas” con quattro bolle papali. Il desiderio di morte e l’incredibile ferocia non fu arrestata nonostante nel 1805 il Re Carlo IV vietò formalmente la corrida.

Si andava sviluppando così quella che oggi viene ritenuta un vera e propria tradizione del massacro animale, perpetuata e sostenuta dalla Mafia taurina alla quale, secondo un sondaggio Gallup, l’82% degli spagnoli prova a ribellarsi.

Con il diffondersi della tradizione si fa strada in Spagna anche una violenta critica che non mira a colpire il rispetto delle tradizioni e la difesa delle radici di un popolo, quanto piuttosto a far riflettere su quanto queste celebrazioni siano state veicolate per diventare una fonte economica. Si diffonde così la volontà di mostrare al mondo intero come le feste taurine diffondano una tradizione popolare distorta legata alla barbarie.

La corrida, pubblicizzata dai mass-media, viene presentata come arte e folklore; diviene mito e rito della cultura ufficiale spagnola attraverso l’incoraggiamento e il riconoscimento del Governo spagnolo e non smette di essere fonte di guadagno. grazie alla sfrontata apertura di scuole di tauromachia dove vengono formati giovani destinati a diventare promesse dell’arena o vittime della spietatezza dei tori. Come mai, data la crudeltà di queste manifestazioni, esse continuano ad avere così tanto successo?  Forse l’indole umana è stata resa indifferente al sangue e alla sofferenza?

Italiani, Giapponesi e Francesi in prima fila dimostrano forse che il piacere nel vedere infliggere dolore esorcizza la malvagità umana. Il successo della spettacolarizzazione del rito in tutta la sua crudeltà è divenuto cruciale per il turismo estivo spagnolo. Gli spettacoli, infatti, oggi godono di ingenti finanziamenti da parte del Ministero della cultura . Gli interessi economici e politici sono molteplici e vengono tutelati dal Governo: basti pensare a quanti vengono coinvolti tra latifondisti, allevatori, istruttori, agenzie turistiche, commercianti di souvenir. In breve, un vero e proprio business incentrato su un rito barbaro e inaccettabile.

L’idea dell’uomo forte e coraggioso che sventola un telo rosso sfidando il toro non rende l’idea di cosa i tori siano costretti a subire prima di entrare nell’arena. Il toro che respira a stento è stato tenuto al buio per una notte intera, drogato e purgato, colpito ripetutamente sui reni, gli viene cosparsa trementina sulle zampe per non farlo stare fermo, gli viene annebbiata la vista con la vasellina e infine gli viene infilata della stoppia nelle narici e nella gola per impedirgli di respirare e per fargli produrre quel tipico soffietto, quasi fumante, frutto di atroci sofferenze. 

La tortura non è finita: il toro viene infilzato con degli aghi nelle carni quando la corrida non è ancora iniziata: durante la festa, “picas” e “banderillas” infliggono altro dolore. Infine, la spada del matador, lunga 85 centimetri, trafigge il toro in un punto ben preciso, fino ai polmoni della bestia, provocando gravi emorragie polmonari che soffocano l’animale. Il torero ha vinto, tutti esultano, ma non è finita. Il toro viene trascinato via, castrato ancora vivo e agonizzante, gli vengono tagliate via la coda e le orecchie, per farne dei trofei. Per concludere, il toro viene macellato. Lo spettacolo dura un’ora e mezza, arco di tempo in cui sei tori trovano la morte lottando contro tre toreri. 

Tutto ciò è parte di una magia che rende eroe un assassino brutale, addestrato per vincere su una bestia naturalmente più forte di lui, resa debole per divertire, uccisa inutilmente per inneggiare a una tradizione allucinante.

Nasce spontaneo chiedersi se qualcuno si sia opposto a tutto ciò. In realtà il fenomeno non passa inosservato dal punto di vista politico: il partito dei Verdi e i Repubblicani hanno dichiarato apertamente la loro avversione per la tauromachia. Non è rimasta in silenzio neppure la letteratura e il cinema; come ogni tradizione secolare, il mito si tramanda da generazioni e generazioni e viene rafforzato dai romanzi di autori come Ibanez ed Hemingway, reso celebre ed enfatizzato da star del cinema come Gina Lollobrigida e Sofia Loren.

Doveroso ricordare autori come Voltaire, Montesquieu, Byron, Garcia Lorca, Victor Hugo, i quali hanno apertamente espresso il loro sentimento di condanna. Per citare Victor Hugo: “Torturare un toro per il piacere, per il divertimento, è molto più che torturare un animale, è torturare una coscienza”.

In difesa dei tori troviamo anche artisti di grande spessore, come ad esempio il famosissimo regista spagnolo Almodovar che nel suo celebre film “Il Matador” denuncia la violenza e soprattutto riesce a far emergere una forte critica contro il cattolicesimo, che non ha mai preso una posizione precisa e coerente. Si denuncia il fatto che ogni Plaza de Tores ha una piccola cappella dove il torero riceve la benedizione di un prete e ancor di più viene posto l’accento sull’utilizzo da parte della chiesa delle corride a scopo di beneficenza, motivo per cui il prete deve poi assistere a tutto lo svolgimento della corrida.

Ad opporsi troviamo pure le agenzie turistiche: è doveroso far riferimento ad Alpitour che insieme alla Lega Antivivisezione si è opposta alla pubblicizzazione delle corride. 

Le feste taurine sono una vera e propria violenza istituzionalizzata, che trova l’appoggio del governo, delle amministrazioni, della chiesa. Fortunatamente trova anche l’ostacolo di chi si ribella: già nel 2010 il parlamento catalano ha approvato l’abolizione della corrida nella regione. Il parlamento catalano ha dovuto lottare contro i socialisti (Psc), i popolari (Pp) e Ciudadanos per diventare la prima regione a chiudere dopo sette secoli di combattimento l’Arena Monumental di Barcellona. Cosa accadrà nei prossimi anni è prevedibile: il mondo della corrida è entrato in un periodo di crisi che difficilmente sarà in grado di superare.