Stati Uniti e Messico: l’immigrazione e la corsa alle presidenziali

Ogni anno, 400 mila persone partono dalle regioni del Centro America per tentare di emigrare verso gli Stati Uniti. La maggior parte proviene dal Messico, ma anche dall’Honduras e da El Salvador, paesi che si collocano ai primi posti tra gli Stati con il più alto tasso di omicidi al mondo. Ciò è dovuto principalmente dalla presenza di organizzazioni criminali che gestiscono i traffici di droga e di vite umane in quei territori. L’elevato tasso di criminalità, la corruzione che coinvolge le istituzioni politiche e militari, insieme alla continua violazione dei diritti umani spinge ogni giorno giovani, donne e bambini a migrare verso gli Stati Uniti, attraverso le montagne o via mare.

Si tratta di un cammino impervio che si snoda lungo due corridoi. Le vie lungo il Pacifico che vanno dal Chiapas verso l’Arizona e la California, dove i migranti raggiungono il famigerato muro di Tijuana, oppure costeggiando l’Atlantico negli Stati di Veracruz e Tamaulipas. Ci si sposta a piedi o attraverso mezzi di fortuna, principalmente in treni-merci. Qui la probabilità di finire schiacciati sotto le rotaie nel tentativo di saltare a bordo o di perdere un arto è molto elevato, ma il rischio più  grande è quello di finire nelle mani dei gruppi criminali che gestiscono la tratta di esseri umani, e di subire violenze e abusi.

I flussi migratori nel Messico sono, infatti, gestiti dai cosiddetti “polleros” (o “coyotes”, come vengono definiti negli Stati Uniti), i quali hanno dato vita ad un vero e proprio business che ogni anno provoca la scomparsa di migliaia di persone. Molto spesso, infatti, i migranti, dopo aver pagato la cifra pattuita per attraversare la frontiera, vengono derubati e abbandonati nel deserto. Di queste sparizioni misteriose nessuno sa niente; le autorità pubbliche e le forze di polizia, spesso corrotte dai trafficanti, chiudono un occhio e ignorano quella che è diventata ormai una triste consuetudine.

Di fronte a questo fenomeno, le politiche adottate dall’amministrazione Obama hanno avuto scarsi risultati. Il Presidente, dopo aver cassato i lavori per il completamento del muro di frontiera, ritenuti troppo costosi e deleteri all’immagine della nazione, aveva promosso l’adozione nel 2012 del DACA (“Deferred Action for Childhood Arrivals”), un provvedimento atto a garantire agli immigrati irregolari giunti negli Stati Uniti insieme ai genitori prima di compiere 16 anni un permesso di lavoro della durata di due anni. Questa legge è stata successivamente implementata dal DAPA (“Deferred Action for Parents of Americans and Lawful Permanent Residents”), destinato ai genitori di bambini nati sul suolo americano e che, pur essendo entrati nel Paese in modo irregolare, non avevano pendenze con la giustizia a partire dal 2010.

Tuttavia, questi provvedimenti hanno avuto vita breve a causa del ricorso presentato da alcuni stati, tra cui il Texas, in base al quale solo il Congresso aveva la facoltà di adottare un provvedimento su una questione così delicata. Così, l’atto è stato sospeso ed è tutt’ora sotto esame da parte della Corte Suprema. La disciplina della materia è rimasta così lacunosa e non idonea a contrastare la clandestinità e, soprattutto, il traffico illecito perpetrato dalle organizzazioni criminali.

Ma quali sono i programmi politici che i due principali candidati alle Presidenziali propongono in merito?

Il repubblicano Donald Trump non ha dubbi: l’immigrazione va fermata e per farlo è necessario portare avanti la costruzione del muro lungo tutto il confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Trump, facendo leva sui problemi legati alla criminalità e all’aumento delle spese per i contribuenti, sostiene apertamente che l’identità di un popolo vada preservata e che quindi sia necessario aumentare i controlli per monitorare i flussi migratori e scongiurare l’immigrazione clandestina. 

Dall’altro lato, la democratica Hillary Clinton propone un approccio più moderato, basato sul dialogo e sulla tutela dei diritti umani nei confronti dei migranti. Secondo la Clinton, infatti, l’immigrazione è una risorsa per il paese a apporta benefici economici da non trascurare. Una situazione molto delicata e che lascia ancora molte questioni aperte. Intanto, i migranti cercano di superare i confini nelle poche aree in cui non sono state ancora erette barriere, come nel deserto di Sonora, dove le temperature oscillano dai 52°C diurni ai -10°C notturni, o attraverso le montagne dell’Arizona.

L’impresa è diventata sempre più rischiosa e sono pochi i migranti che riescono a sopravvivere nel deserto, per poi essere intercettati dalla polizia di confine e riportati indietro. Così, molti ci riprovano e si rimettono in cammino, nella speranza di un futuro migliore. Quel muro, voluto dall’ex Presidente George W. Bush e ribattezzato dai messicani “muro della vergogna”, è il simbolo del sogno americano che si sfalda, un sogno riservato a pochi e che ha un prezzo molto alto.

Flavia Tambuzzo


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