Una cortina di ferro è scesa sul 21esimo secolo

Una nuova guerra fredda, più sfacciata, sfrontata, audace e tenebrosa affligge l’arena mondiale! In un lungo discorso tenuto il 5 marzo 1946 a Fulton, nel Missouri (Usa) Winston Churchill dichiarava «Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi Nazioni del mondo(…)». 

70 anni più tardi Barack Obama afferma: Mosca è da sempre dalla parte sbagliata della storia” mettendo in evidenza la conflittualità storica e mai terminata tra le due parti. Un conflitto ancora attuale che alterna fasi di profonda crisi e altre di intesa.

Scontro militare, diplomatico, economico che ritrova una bottom line nello scontro valoriale. Se gli anni ’90 si sono chiusi con gli Stati Uniti in testa, capaci di dominare la politica internazionale imponendo la cultura prettamente liberale e capitalista e l’universalità della missione di democratizzazione; entrati nel nuovo millennio la scena è stata animata da dinamiche impreviste che hanno visto il declino dei valori liberal-democratici di stampo yankee.

Ma il problema cruciale dei rapporti USA – Russia sta nella percezione della sconfitta del blocco sovietico. I critici russi parlano di un grande “malinteso”, infatti percepiscono la caduta dell’Urss no come una sconfitta, ma come una libera e autonoma decisione di nuovo inizio. Racchiude in sé sentimenti di rivalsa identitaria e di prestigio all’interno della scena internazionale.

Tra crisi e diplomazia una nuova era ebbe inizio nel 2000 con la salita al potere di Vladimir Putin. Il nuovo presidente intenzionato a dare un ruolo internazionale al suo paese iniziò un breve periodo di dialogo con Washington. 

La disponibilità di Mosca però non fu accolta fin da subito con entusiasmo, tuttavia, agli albori dell’amministrazione Obama, l’America ha costatato il suo declino come potenza mondiale e  ha dovuto ammorbidirsi.

Lo scontro valoriale tuttavia non si era spento anzi era rimasto latente. Putin, attento stratega, scrupoloso politico, diplomatico freddo e calcolatore ha fatto largo uso dell’influenza generata dal soft power aspettando un’occasione per fare emergere vecchie problematiche. L’occasione arrivò nel 2004 con la crisi in Ucraina.

Le forze in campo erano molteplici: da una parte il popolo ucraino diviso tra una grande madre russa e il vicino piuttosto allettante quale l’Europa; dall’altra la Russia e la sua volontà di controllo dello spazio ex sovietico, infine gli Stati Uniti e la loro doverosa missione di democratizzazione.

Lo scontro principale però rimaneva quello del retroscena valoriale, infatti l’idea espansionistica dei principi americani trovava un potente rivale nel conservatorismo promosso dal leader del Cremlino. Patriottismo russo contro internazionalizzazione dei valori liberaldemocratici. Nell’era del dibattito sul mondo bipolare o multipolare si inseriva la minaccia di un nuovo equilibrio: quello di un’alleanza come  l’Eurasia, capace di ridare alla Russia un nuovo ruolo e di trovare una soluzione per tutta la zona europea condivisa.

La crisi ucraina offriva esattamente lo scenario perfetto per una resa dei conti. La Russia in un primo momento sembrava essere in vantaggio grazie alla sua influenza oligarchica sul businessman oltre ai legami culturali e linguistici;  l’America rispondeva utilizzando la sua adorata missione di democratizzazione e fronteggiando la politica russofila. Con l’evolversi della rivoluzione Ucraina, nei dieci anni tra il 2004 e il 2014 si è assistito ad un vero e proprio revival della guerra fredda in cui l’America è riuscita, forse apparentemente, a rallentare l’irruenza della politica russa.

La frattura tra B. Obama e V. Putin ha raggiunto il suo ακμή con le sanzioni economiche inaugurate il 12-settembre del 2014, imposte alla Russia per il suo intervento in Ucraina nel tentativo di convincere il Cremlino a ritirare le sue truppe. Le sanzioni colpiscono i settori chiave dell’economia russa: energiadifesafinanza.

Viene limitato l’accesso ai mercati finanziari ai cinque principali istituti bancari; ai tre principali giganti nazionali del petrolio: GAZPROM-NEFT, ROSFNET, TRANSFET e infine ai tre principali fornitori di armi.

In campo finanziario prevedono il divieto di concessioni di prestiti ed acquisti di azioni e obbligazioni con scadenze maggiori ai 30 giorni con le dovute limitazioni dettate dal regolamento n 1290\2014 che escludono dalle restrizioni sul mercato finanziario, gli enti dotati di status internazionale e quelli che operano nell’industria spaziale e nucleare. Infine USA e UE hanno isolato la Russia a livello diplomatico lasciandola fuori dal G8 e in particolare in Europa sospendendo i visti per i principali 24 oligarchi russi indesiderabili.

Quale è stata la risposta della Russia? Il Cremlino non ha mostrato nessun segno di cedimento anzi ha minacciato l’Europa e l’America di attuare delle contro misure accusandoli di intromissione in faccende che non sono di loro competenza. Lo scenario potrebbe tornare ad essere quello degli anni ’80.

Le sanzioni attuate il 31-07-2014 e scadute il 22-06-2015 sono state prolungate per ulteriori sei mesi fino al 21-12-2015 quando hanno subito un’ulteriore prolungamento di sei mesi. 

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(credit: Giuseppe Castiglione)

In conclusione in vista della loro scadenza il 31-07-2016 ci si chiede quali sono le sorti dei rapporti Russia-USA. Se la presidenza di Obama è stata irremovibile e ha tenuto salda la propria posizione secondo cui le sanzioni devono essere mantenute fintanto che la Russia non realizza al pieno gli accordi MINSK e rispetta la sovranità dell’Ucraina, quale sarà il futuro dei provvedimenti con il cambiamento della presidenza americana? Cosa bisognerà aspettarci nel prossimo mese? Questi interrogativi resteranno aperti fintanto che avverrà il cambio di presidenza. L’orientamento prevalente sembra essere quello promosso anche dall’Europa ossia di rinnovamento delle sanzioni, nonostante alcuni piccoli segni di cedimento, soprattutto provenienti dall’Europa ed in particolare sostenuti dal Premier Renzi cominciano ad emergere.

Simona Di Gregorio