Gibellina vecchia e nuova: un viaggio tra arte e memoria

L’insegnamento machiavelliano (per la verità, riportato dagli scritti di Cicerone) Historia magistra vitae racconta sostanzialmente che la storia è «maestra di vita» presente e futura. Ed è quello che si percepisce a Gibellina attraverso il suo percorso di “rigenerazione” ricco di sorprese, ricco non solo di storia ma di storie: quelle delle persone comuni, di uomini e donne che hanno dovuto cedere ad artisti e monumenti l’arduo compito di tramandare la memoria di un evento catastrofico come il terremoto del Belice del 15 gennaio 1968.

Attraverso installazioni, sculture, immagini e suoni ritornano in noi i momenti più tragici e strazianti di una comunità ritrovatasi senza la propria culla, ma soprattutto senza la propria identità. La ricostruzione di Gibellina, in particolare, ha ridato nei decenni successivi al sisma un posto dove vivere ai tanti rimasti senza casa. Ma ha anche alloggiato degli “stranieri” in un luogo nuovo che non gli appartiene.

Oggi sono luoghi che testimoniano un cambiamento repentino in preda al bisogno di ridare un ambiente vivibile ai terremotati. Tappezzato di interventi artistici di esponenti contemporanei provenienti da tutto il mondo, un arlecchinesco miscuglio di forme e stili rappresenta, nel bene e nel male, la città nuova.

Cosa successe nella Valle del Belice

Dalla notte fra il 14 e il 15 gennaio 1968 la Valle del Belice non sarebbe stata più la stessa: violentissime scosse sconvolgono i paesi che poggiano sulle colline, distruggendo larga parte delle strutture presenti. Si contano centinaia di vittime, migliaia di feriti e decine di migliaia di sfollati su tutto un territorio che si estende tra le province di Trapani, Palermo e Agrigento.

Quasi completamente crollati i comuni di Salaparuta, Santa Ninfa e Montevago. Un altro, tra i comuni maggiormente colpiti, è Gibellina, quasi totalmente cancellata dalle diverse scosse – due in particolare, tra le 2 e le 3 di notte – che hanno causato, letteralmente, lo sbriciolarsi delle abitazioni in tufo. A Gibellina c’era la neve e, nonostante le forti scosse già verificatesi nel giorno intorno all’ora di pranzo, per il freddo in molti avevano preferito rintanarsi dentro, ritenendo il peggio ormai passato. Così non fu.

L’arte che tramanda la memoria sulle rovine

Oggi, su questo territorio devastato dall’impeto naturale, poggia una gigantesca opera d’arte, la più vasta opera di land art del mondo: “Il cretto” di Alberto Burri, realizzato tra il 1984 e il 1989. Al posto delle palazzine pericolanti o giacenti in pezzi al suolo, al posto delle strade e delle piazze della vecchia Gibellina è stata stabilita questa distesa di cemento labirintica.

Il cretto – Alberto Burri

Non capita a pieno dai gibellinesi, i quali non hanno apprezzato l’opera perché vista come una coperta sulla propria terra di origine, l’opera di Burri rappresenta invece proprio la costruzione di un monumento alla memoria di ciò che è accaduto in quel preciso fazzoletto di terra nel Belice. Un luogo scelto dallo stesso Burri che non intendeva aggiungersi alle numerose maestranze internazionali che arricchivano la ricostruzione del paese a 20 chilometri di distanza.

L’artista volle ricompattare tutte le macerie di Gibellina e farne un gigantesco simbolo, ripercorrendo le vie e i vicoli della vecchia città, «così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento» come disse all’epoca.

Il Museo delle Trame Mediterranee

Spostandoci al Baglio Di Stefano, nel comune di Nuova Gibellina, si trova il Museo delle Trame Mediterranee, antica casa baronale restaurata e utilizzata per l’esposizione di numerose opere d’arte, in un dialogo tra arte contemporanea e oggetti decorativi dei popoli e delle culture dell’area mediterranea.

Spazi esterni del Museo delle Trame Mediterranee

La struttura del Museo è inoltre la sede dell’Istituto di Alta Cultura Fondazione Orestiadi, che per la costituzione di questo prestigioso progetto ha ricevuto il premio ICOM Italia “Museo dell’anno” nel 2011, come miglior esempio di mediazione culturale. In questo inedito complesso espositivo troviamo opere di artisti come Boetti, Paladino, Cagli, Turcato, Schifano, Guttuso e molti altri in una collezione che nel tempo ha accresciuto la sua quantità e il suo spessore artistico grazie alle donazioni degli stessi artisti o provenienti da collezioni private e pubbliche.

Il Museo fu istituito nel 1996 da Ludovico Corrao, sindaco di Gibellina che si prodigò per la ricostruzione della città nuova e per l’arricchimento di questa tramite l’operato di artisti e architetti di grande fama. Proprio questa coesistenza di idee e progetti totalmente diversi ha dato un carattere ambiguo alla Nuova Gibellina che, per questo motivo, risulta estremamente interessante da visitare ma allo stesso tempo enigmatica.

Montagna di sale – Mimmo Paladino

La ricostruzione e la “città nuova”

Dalla Chiesa Madre disegnata da Ludovico Quaroni, sormontata da una gigantesca sfera bianca di cemento, all’edificio denominato Meeting, di Pietro Consagra l’atmosfera resta geometricamente fredda. Non passano inosservati gli elementi scenografici teatrali appartenenti a Edipo Re, sempre del Consagra, posti sulla piazza antistante al Municipio dove sono presenti anche le ceramiche decorative di Carla Accardi.

Nella piazza s’innalza la Torre Civica, chiamata anche Orologio, ideata da Alessandro Mendini. La torre alta dodici metri irradiava nell’aria – scandendo l’ora quattro volte al giorno – i suoni della folla cittadina, opportunamente elaborati al computer in un concerto di voci (urla di bambini, lamenti di ogni tipo, ecc), tramite dei grossi megafoni posti al vertice.

Cosa trasmette l’esperienza di Gibellina?

Gibellina rappresenta la rinascita da un evento terribile come un potentissimo sisma, ma anche un laboratorio artistico all’aperto che, nonostante ogni tipo di contributo estetico, sembra costantemente incompleto. È una grande scuola d’arte che è possibile frequentare camminando tra le strade e le piazze. È anche una vasta galleria di arte contemporanea al quale manca la partecipazione del suo miglior pubblico: i gibellinesi.

L’assenza di manutenzione per le numerose strutture di recente costruzione ha ridato un’immagine di deterioramento a una comunità che non ha mai dimenticato le rovine della città vecchia.

Questo percorso tra decostruzione e ricostruzione è un viaggio istruttivo e carico di emotività, utile non solo a conoscere i maestri che hanno dato il proprio apporto alla grande opera-città: Gibellina educa alla memoria senza tralasciare la volontà di andare avanti, ricorda i morti costruendo realtà per i vivi, trascina l’ospite in un mondo apparentemente incomprensibile ma di colpo profondamente evidente. Il disastro toglie tutto ma non la creatività, l’unico soffio rigeneratore che contraddistingue l’umano vivere.

Fotografie di Ester Di BonaSi ringraziano l’Accademia di Belle Arti di Palermo e l’architetto Enzo Fiammetta.


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