Veicolo di conoscenza e azione politica: c’era una volta la Pop music

La musica pop, termine derivante dall’inglese “Pop Music” (proveniente da popular music), è un genere musicale che trova le sue origini moderne nel Rock and Roll degli anni ’50. Il fenomeno musicale impiegò poco a coinvolgere anche la dimensione sociale, proprio perché il genere musicale, oltre che rivoluzionario e trascinante per una gran quantità di persone in tutto il mondo, aveva una connotazione trasgressiva e accattivante, soprattutto tra i giovani.

Protagonista era la beat generation (il termine beat venne coniato da Jack Kerouac a indicare la ricerca, la necessità degli individui di nuove regole), ovvero quella categoria sociale che non accettava le regole imposte ed era favorevole alla sperimentazione sensoriale tramite le droghe, alla sessualità alternativa e a una “religione alternativa” anti-materialista. Sono gli anni che si avvicinano sempre di più all’emancipazione femminile, ai movimenti giovanili di protesta studentesca e proletaria, e sono anche gli anni in cui questa musica diventa parte integrante della cultura e del lifestyle, non solo nell’aspetto estetico del fashon-style.  

Strumenti provenienti da una straordinaria innovazione tecnologica, che senza dubbio ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione di questo modello culturale oltre che politico, azzardando una politicizzazione della musica “Ondeggia e Ruota”, sono la radio, la televisione (l’emittente televisiva Mtv su tutte, nata solo alla metà degli anni ’80) e dispositivi di ascolto portatili, come il walkman.

La fama e la vasta portata del fenomeno popular non deve destare sospetti sulla sua autenticità o sul suo effettivo valore, anzi: proprio il suo successo ha una valenza straordinaria nella comprensione di meccanismi socio-culturali e di movimenti intellettuali sviluppatisi contemporaneamente all’esplosione della Pop Music. Così come per la letteratura di successo, che per tale motivo non viene trascurata ai fini accademici, la musica Rock & Roll è utile come indicatore di sentimenti e concezioni, della “filosofia dell’epoca”, proprio per il suo predominio nell’ambito commerciale, artistico, sociale, ecc…

All’interno del calderone musicale – mai del tutto circoscritto alla musica – non manca l’antirazzismo, soprattutto per la stragrande maggioranza di black musicians che troneggiavano nel Blues e quindi nel suo naturale erede, il Rock & Roll. Nasce infatti una consapevolezza popolare della black people, in riferimento ai duri contrasti che hanno segnato la storia americana durante gli anni Sessanta e non solo.

Sono proprio gli Stati Uniti esportatori di un nuovo modello di controcultura, di rinnovamento nelle arti performative e visuali, proprio loro che inaugurando una rivoluzione sociale e culturale hanno incentivato il risveglio dell’identità di minoranze, in particolare il cosiddetto “nazionalismo nero”.

La battaglia anti-segregazione razziale coinvolse diverse generazioni poiché in questo caso non si trattava solo di giovani ribelli, ma di un’intera popolazione – oltre a tutti coloro che sostenevano tale protesta – chiamata a difendere i propri diritti e a pretenderli, contro la discriminazione che negli anni ’60 era ancora forte nella maggior parte degli States.

Il mondo musicale fu attivo in importanti richiami all’azione, al bisogno di esprimersi, col vantaggio di avere a disposizione i grandi mezzi di comunicazione di massa. Così nell’ambiente Jazz, che già si era aperto al Free Jazz con l’inconfondibile stile innovativo ed eclettico di John Coltrane, diversi musicisti composero brani dai titoli emblematici e significativi di un periodo difficile, da pioniere fa We Insist! di Max Roach, seguita dalle dichiarazioni di numerosi jazz man che portavano il messaggio di libertà e riconoscimento dei diritti civili in un panorama di rilievo e di alta capacità pubblicitaria.

Rimane “scolpita nella pietra” la nascita del Rock & Roll, con la prima incisione di Elvis Presley del 1954, data convenzionale che si è scelta per segnare l’inizio di un lungo e importantissimo percorso musicale destinato a crescere ed evolversi al pari della società e seguendo esattamente il mutamento sociale, e viceversa. Senza il rock, momento necessario di una rivoluzione sociale e musicale, non avremmo assistito alla nascita dei Beatles, destinati a diventare un fenomeno giovanile come anche politico, dato l’impegno individuale di alcuni componenti durante la storia della band e dopo lo scioglimento.

Se il primo coinvolgimento fu statunitense, la febbre rock non tardò ad arrivare anche in Europa dove non mancava la ribellione giovanile, il richiamo anti-sistema, il romanticismo rivoluzionario ricco di esotismo e di passione per il modello americano così tanto affascinante – ma politicamente improntato alla protesta contro l’oppressione “occidentalista” sui popoli vietnamiti e algerini, che contraddistinguono gli anni Sessanta e Settanta. Le emergenze a cui faceva fronte l’azione musicale, se così può definirsi la politica fatta di parole, note e solo di chitarra, erano soprattutto la Guerra Fredda, grande spaccatura che allora divideva il mondo; la sensazione di una imminente crisi economica globale, che di fatto colpì il settore petrolifero nella prima metà degli anni Settanta.

La cultura beat ispirerà anche la cultura underground, qualche anno dopo, anche se la loro definizione esatta è difficile da esporre, nonostante si utilizzi solitamente il termine “controcultura” a sottolineare la nuova sensibilità che colpisce il mondo musicale, artistico e intellettuale. Anche dal punto di vista strettamente tecnico-teorico la “nuova musica” è ribelle, non rispetta intervalli e regole finora rimaste immutate: il jazz si trasforma in arte di improvvisazione pura al di là di melodie occidentali precise; il rock sul palco non è altro che uno scambio di colpi con le altre voci musicali della band, un dialogo fitto, ricco di ispirazione e libertà espressiva.

La psichedelia fu, poi, la nuova frontiera musicale, il nuovo “viaggio” musicale che affascinava tantissimi giovani e che si trovava nell’underground (inizialmente solo) britannico. Come un’epidemia rapì i ragazzi, le influenze musicali, le tendenze stilistiche e cinematografiche, le aspirazioni di tantissimi piccoli musicisti.

Uno spaccato musicale: i Pink Floyd di Syd Barrett

Per osservare la gioventù londinese, dalla quale sono uscite le più grandi band rock di tutti i tempi, e per capire cosa sia la cultura underground è interessante seguire l’esperienza personale e discografica dei Pink Floyd. Inventati da Syd Barrett, sono l’espressione più famosa e più di successo della sperimentazione musicale e “spaziale” che ha contraddistinto il periodo subito successivo alla beat del primo momento popular.

Uno dei luoghi intorno al quale ruota questo movimento musicale e culturale è il Marquee Club, un locale produttivo di eventi giovanili e alternativi. Gli happening che si organizzavano comprendevano una mistura di giochi di luci, musica immancabile e anche – data la maturità scientifica riguardo l’uso di droghe non ancora diffusa né consapevole – la presenza di sostanze stupefacenti quali l’LSD che girava tra i giovani dell’underground.

Il “Pink Floyd Sound”, primo nome della band, si fece conoscere ben presto per le sensazioni nuove e mistiche che suscitava nel pubblico estasiato e in contemplazione ai concerti. Di questo ambiente, i Pink Floyd divennero gli incontrastati protagonisti. Ma gli avvenimenti underground non erano solo pura sperimentazione musicale ed esplorazione mentale. Erano anche e soprattutto attività di comunità: si pensi alle esperienze cooperative imprenditoriali, le fondazioni universitarie editoriali, i locali di socializzazione, le librerie, la costruzione di fenomeni discografici come etichette giovanili autogestite.

L’esperienza rivoluzionaria Sessantina, derivante dal beat, non deve però sembrare, come tutta l’ondata di ribellione rock, una gigantesca utopia: deve e può risultare come la sintesi dello scontro spavaldo e coraggioso di una intera generazione nei confronti della realtà circostante sempre più ossessionata dall’economia e meno dal destino della società.