La dimensione europea della confisca

Di Valeria Maschi – Uno degli strumenti di maggiore impatto nel contrasto alla criminalità organizzata, di livello sia nazionale sia internazionale, è costituito dall’aggressione ai patrimoni di provenienza illecita o, comunque, utilizzati per finanziare attività criminali. Combattere il crimine organizzato presuppone, infatti, non solo la penalizzazione delle condotte illecite ad esso imputabili, ma richiede anche la rimozione delle cause e degli strumenti che ne garantiscono il mantenimento e la sopravvivenza. Per tali ragioni nell’ambito delle moderne strategie di lotta contro il crimine organizzato, il tema delle misure patrimoniali va assumendo una centralità crescente.

A livello internazionale sempre più sentita è l’esigenza di adeguare l’azione di contrasto e la relativa cooperazione tra gli Stati alla dimensione economico-transnazionale della criminalità organizzata e, dunque, realizzare efficienti strumenti di cooperazione anche nel settore riguardante l’individuazione di patrimoni illeciti e della loro successiva confisca. In tale contesto, una tappa decisamente rilevante, è rappresentata dalla Convenzione di Strasburgo del 1990 che promuove la cooperazione giudiziaria in materia di indagini, sequestro e confisca di proventi di reato. La Convenzione è stata successivamente aggiornata ed integrata dalla Seconda Convenzione di Strasburgo, aperta alla firma a Varsavia il 16 maggio 2005.

Al fine di agevolare i processi cooperativi, molte legislazioni nazionali si sono dotate di moderne forme di confisca, destinate a colpire in maniera incisiva i frutti delle attività illecite. In particolare, tali interventi mirano a penalizzare i patrimoni nella disponibilità di soggetti ritenuti responsabili di gravi condotte criminose, perché condannati o gravemente indiziati, utilizzando due tipiche tecniche normative: la semplificazione probatoria e la confisca di valore.

Altre legislazioni, inoltre, concentrando l’azione di contrasto al solo aspetto patrimoniale, hanno elaborato delle procedure ad hoc, fondate non solo sulla semplificazione probatoria ma addirittura slegate dalla necessaria pronuncia di una sentenza di condanna penale. Ne costituisce un esempio tipico la confisca di prevenzione antimafia, prevista dalla legislazione italiana all’art. 2 ter l. 575/65.

Anche in ambito europeo, la confisca e  il recupero dei proventi di reato, come pure la cooperazione internazionale in questo settore, sono considerate il fulcro vitale della lotta al crimine organizzato.

L’attuale assetto giuridico-normativo europeo in materia di congelamento, sequestro e confisca dei beni è caratterizzato da azioni comuni e decisioni quadro alcune delle quali, purtroppo, risultano  non ancora recepite o non attuate. Si osservi, a tal riguardo, come solo recentemente, attraverso il D. Lgs. del 7 agosto 2015 n. 137 pubblicato sulla gazzetta Ufficiale il 2 settembre 2015, si sia provveduto ad attuare la Direttiva quadro 2006/783/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.

La crescente attenzione europea verso la tematica della confisca e del riuso sociale dei beni sì è concretizzata, più di recente, nell’approvazione della tanto attesa Direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione Europea. La Direttiva, che va a sostituire la precedente Azione comune 98/699/GAI e parzialmente le decisioni quadro 2001/500 e 2005/212, introduce, per la prima volta, disposizioni sulla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati ed invita gli Stati membri a «valutare l’opportunità di adottare misure che permettano di utilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociale». Essa, inoltre, costituisce un importante momento di riconoscimento politico del livello di pervasività raggiunto dalle infiltrazioni criminali nelle economie dei paesi europei e della necessità di mettere in campo strumenti sempre più efficienti per sottrarre alle mafie proventi e beni derivanti da attività delittuose.

Il testo alla fine adottato ha, però, fortemente ridimensionato le aspettative di coloro i quali avevano intravisto nella precedente Proposta di direttiva del Parlamento Europeo del 2011 una possibile opportunità per conferire piena legittimazione, anche a livello sovranazionale, al modello italiano di confisca senza condanna. La Direttiva, infatti, a differenza di quanto il Parlamento Europeo aveva raccomandato, prevede una forma di confisca, conseguente alla condanna, sia dei proventi e degli strumenti di reato sia dell’equivalente.

Ulteriori aspetti tralasciati dalla Direttiva in esame riguardano la proposta del Parlamento Europeo di creare un fondo in cui raccogliere una parte dei beni confiscati nell’Unione in modo da incoraggiare cittadini, associazioni o ONG a presentare progetti finalizzati al riuso sociale di quei beni e alla loro riqualificazione. In altri termini, l’obiettivo era quello di promuovere la diffusione della cultura della legalità permettendo ai cittadini di riappropriarsi di ricchezze precedentemente in mano  alle mafie.

Per combattere l’accumulazione di patrimoni illeciti da parte della criminalità la Direttiva, all’art. 5, prevede una forma di confisca c.d. «estesa» (non si richiede l’accertamento del nesso causale tra i beni da confiscare e specifici reati, ma il provvedimento di confisca si estende a tutti i beni che il giudice ritenga di origine criminale). Sono previste inoltre: la confisca in caso di sproporzione tra i beni e i redditi, la confisca dei beni intestati a prestanome, la gestione dei beni da parte di uffici nazionali specializzati, la destinazione a uso sociale dei beni, ferme restando le procedure previste dai singoli Stati. Quest’ultima disposizione, chiaramente mutuata dalla legislazione italiana, appare, tuttavia, alquanto deludente, in quanto non include i riferimenti all’esigenza di armonizzazione dei principi generali per una corretta gestione dei beni sequestrati e successivo riutilizzo dei beni confiscati,  limitandosi a richiedere agli Stati membri di «valutare se adottare misure che permettano di utilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociale».

Non si impone, dunque, il riutilizzo sociale, ma in maniera non vincolante si prevede esclusivamente l’impegno a valutarne l’opportunità. Per tali ragioni, si è addirittura giunti ad affermare, che «la direttiva non ha raggiunto il suo scopo originale, riguardante la necessità di imporre regole comuni e vincolanti in materia».

In sintesi, la direttiva sul congelamento e la confisca, pur rappresentando un apprezzabile (ma timido) passo in avanti, è ancora abbastanza lontana dal rappresentare lo strumento chiave attraverso il quale aggredire e annientare a livello europeo, il potenziale economico-finanziario delle mafie. Nondimeno, precisa responsabilità europea e dei singoli governi nazionali deve continuare ad essere quella di garantire piena operatività ed attuazione alle disposizioni in essa contenute.


Per approfondire: A. Balsamo, Il codice antimafia e la proposta di direttiva europea sulla confisca: quali prospettive per le misure patrimoniali nel contesto europeo?, in dirittopenalecontemporaneo.it

A. Maugeri, La Direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’Unione Europea tra garanzie ed efficienza: «un work in progress», in dirittopenalecontemporaneo.it

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